PIZZO CAFORNIA, 2409m (via Razzano-Bonanni) e MONTE VELINO (2486 m).
Discesa dal sent. 5 e visita alla Grotta di San Benedetto

(1 Giugno 2024)
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Ultimi passi verso la cima del Monte Velino

Zoommata sul sito archeologico di Alba Fucens



       

Verso l'Eremo-Grotta di San Benedetto



Panorama sulla piana del Fùcino dalla Grotta di San Benedetto



In alto a destra, la Grotta di S. Benedetto




Velino e Cafornia separati dal "Canalino"

Pizzo Cafornia, versante SSE (Selvata)

Tracciato della Via Bonanni-Razzano

VELINO E CAFORNIA

Le cime gemelle del M. Velino (2486 m) e Pizzo Cafornia (2409 o 2413 m) si stagliano con prominenza piuttosto imperiosa elevandosi per più di 1500 m dall'area pedemontana avezzanese a sud e dalla piana del fucense a SE (ca. 650 m slm). Le due montagne sono separate in alto da un'ampia testata valliva di ghiaie (a E e SE della vetta del Velino) che si restringe nel cosiddetto "Canalino" (1750-1550 m) e cala giù a sud (Valle Lama e le Lave) verso Corona -Massa d'Albe.
L'oronimo Velino è generalmente riferito a una radice pre-latina vel-/vol- "alto, elevato, altezza, altura" [1] ma potrebbe anche avere nascere da una voce (o da nome personale e/o teonimo) originaria del lessico etrusco!
Cafornia è più facile da spiegare e, paradossalmente, seppur solo poco più bassa del Velino, la montagna orientale porta un nome (esteso a un vasto areale) dal senso esattamente opposto: la base caf- cav- pare infatti connessa all'idea di "profondità" e il termine abruzz. caforchio può significare "grotta, solco, fosso, burrone, oggetto cavo, tana" [2].

L'esplorazione relativamente metodica della montagna del Velino (e Sirente) comincia, con vari fini, nell'Ottocento [3] e negli ultimi decenni del XIX sec. le montagne iniziano ad essere percorse anche per "piacere", da escuirsionisti e alpinisti.
La piramidale vetta di Pizzo Cafornia (a ESE di quella del Velino, da cui dista in linea d'aria ca. 1250 m) s'innalza quasi mezzo chilometro più a sud, il che è abbastanza eloquente circa la maggiore inclinazione media e il senso di verticalità che si ha nel risalirne il versante meridionale. Uno sguardo alle tavolette IGM (1:25000) e ancor più alle immagini satellitari, mostra anche il maggior grado di "rocciosità" della montagna di levante, la cui morfologia è più complessa di q del Velino.
La via normale da sud (sent. 7, diff. E) sale il costone SE (Costa Cafornia, più in alto orientato a ESE).
A livello di facile alpinismo, ci sono almeno 5 vie risalibili da sud, anche d'inverno (se non "soprattutto", ma le buone condizioni, data l'esposizione, risultano negli inverni recenti sempre meno frequenti).
Da ovest verso est: 1): La Direttissima SW (Gallina-Baracchi, 30/4/1911; costeggia immediatam. a E il Canallino e, più in alto, risale il crinale che fiancheggia il "Gran Diedro"; per dettagli maggiori vedi l'escurs. del 3/9/2022 e la descriz. e schizzo di V. Abbate su FB); 2) quella qui illustrata, da SSW (Razzano-Bonanni, del 1984, ma forse coincidente in parte o in toto con una precedente salita della rinomata cordata Baiocco-Pallante del 28/12/1975 per il "canale SO o canale a destra della 1a cresta") [4]; 3) la Direttissima da Sud, di V. Ferrrari [5]; la 4) via Iacuitti, canale SSE (G. Mosti ed E. Giuliani) immediatam. a sin./W degli alti Pilastri SSE [6] e infine 5) la Via a est dei Pilastri (Razzano - Bonanni, 8/3/1982)[7].
In generale il versante S è spesso relativamente ventilato, il che può mitigare i ripidi e non trascurabili dislivelli che le ascensioni necessitano. Inutile approfondire su aspetti che sono già trattati nelle descrizioni citate in bibliogr. (vedi note sotto) ma mi limito a qualche consiglio generale e più da "escursionista esperto" che da alpinista, quale non sono [8]: la morfologia del versante meridionale di Pizzo Cafornia (compresa tra il Canalino "tra i due Velini" e i Pilastri SSE) è relativamente complessa per la presenza, tra canali poco incisi e ripidi pendii erbosi, di muri, barriere rocciose e spuntoni valicabili solo con impegnativi passaggi alpinistici (da proteggere); studiare bene la zona in carte, foto satellitari e fotografie da sud.
La Razzano-Bonanni conserva ancora segni sbiaditi gialli, a partire dalla targa (che sta a q. 1595 m ca., su uno dei massi di una prominenza con radi alberelli tra due ghiaioni; vedi foto in alto), il che agevola, ma non ci si può affidare in toto (sopratt. d'inverno). Il rischio, in caso di scarsa visibilità o terreno scivoloso, è di dover cercare l'alaternativa più "logica" uscendo fuori-traccia (cosa non sempre fattibile) o dover addirittura fare dietro front. I passaggi di queste 4-5 vie non vanno mai oltre la difficoltà di II / II+ (e mai particolarm. "esposti"), né la pendeza supera i 50-55°, ma doversi calare potrebbe essere impegnativo, senza corda e nel caso in cui si trovano le condizioni di ghiaccio più "serie" (ciò è relativam. raro se non in canalini "protetti" all'ombra e con "ghiaccio di colata" o nei pendii superiori esposti ai venti e alla possibile formaz. di vetrato). Quindi, con limitata esperienza alpinistica, è sicuramente consigliabile percorrere almeno una volta ciascuna via in condiz. "estive" (o autunnali), per acquisire familiarità con i passaggi obbligati (mai tecnici o che, su facili roccette o per brevi canalini, richiedano corda e protezioni, se in assenza di ghiaccio e con un minimo di familiarità sul facile); "mancando" i passaggi obbligati si rischia però di trovarsi in cattive acque su terreno comunque sempre molto ripido [9].
NOTE:
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1] - G. Alessio 1958, C. Battisti, SE 1932 e Sostr. 1959; G. Alessio e M. De Giovanni, 1983 etc. Però va aggiunto che nella romanità erano numerosi i casi di nomi personali e gentilizi in Vel-, molti dei quali sicuramente di origine etrusca: Vel, Uel è una radice comune a numerosi nomi e composti etruschi (Monti Volsinii, Velletri, cfr. anche Pittau, Diz.) e italici (tribus Velina Piceni, i Uelienses di Plinio, la cilentana Velia-Uelia, il Lacus Velinum, Uelabrum etc.) e, per restare in tema di avifauna tipica del Velino, l'it. "avvoltoio" e lat. "Vultur, Uoltur" (a loro volta all'origine di diversi toponimi e oronimi in Italia!) potrebbero essere etimologizzati come "Uccello di (o sacro a) VEL (una divinità etrusca; cfr. Cortelazzo, Cortelazzo e Zolli in: DELIN, dove si accenna anche al possibile deverbale da vēllere, "strappare") oltre che, eventualmente, come "uccello che vola (assai) in alto".
(Il nome del fiume Velino, anticam. Avens fl., deriverebbe invece da una base pre-latina *av- / au- "fonte, corso d'acqua", per H. Krahe, Unser ält. Flussnamen... 1964, 43).
[2] - G. Alessio (in DEI e LE), G. Alessio e M. De Giovanni, Preistotoria e protostoria.... 1983; E. Giammarco (in: LGA, 1960, LEA 1986 e TAM 1990). Anche cataforchio.
A Palombaro cafuorchie è "stanza piccola e misera" (V. Aquilante, Lu Palummanese, Glossario.., 2023), senso forse traslato da "spelonca, nascondiglio, rifugio" ("topaia").
Nel Napoletano cafuórchio è “tana, bugigattolo” (D’Ascoli, Nuovo voc dial nap, 1993, 129, con etimo spiegato da ca-/cata-, rafforzativo + forica, fogna, acquedotto). De Ritis, Voc. Nap. 1845 (anche Rocco, Voc., 1882, A-C): "cavo di monte, di terreno, di albero, perciò tana, nido etc.". Quindi il suff. pare qui originato dal dimin. o peggiorat. lat. "-cŭlo" (cf. tòrculum > torchio). Caverna pare modellato su un (ital.?) *cafurno, ma va comunque evidenziato che l'origine etimologica del lat. cavum (già covum) è incerta/discussa (DELIN, Devoto 1968).
Per quanto riguarda la formante e il suffisso originari (-OR-NIA, opp. -er-no, -ur-no), cfr. i vari casi di oronimi e idronimi italico-prelatini: M. Taburno, Tiferno, F. Aterno, Flaturno...
Da notare infine la diffusione del toponimo Gàfaro, Càfaro, Caffaro (anche cognome), Cafarùne (Accattatis, 1895) in area calabrese, con eguale significato: potrebbe però trattarsi di una coincidenza, essendo il termine (solitamente) fatto derivare dall'arabo hafr ("fosso, burrone"; J.B. Trumper et al., Topon. Calabr., 1990, 180-1, 195, 197, 203, 205; Alessio STC 1939; Rohlfs, DTOC 1974, 35, 120).
[3] - F. Ciaglia, Le ascese al Velino e Sirente nell'Ottocento, 2022; A.G. Segre, Monte Velino. Esplorazioni e cartografia primitive, in: L'Appennino, 1977 (2), pp. 34-36.
[4] - Si veda V. Abbate, L'alpinismo sui monti del Velino e del Sirente, 2023, pp. 118, 125 (per "1a cresta" s'intende quella sopra-presso cui si sviluppa la Gallina-Baracchi). Il volume è imprescindibile per analizzare la storia alpinistica di queste montagne, malgrado molte salite meno recenti siano prive di cronache scritte/ pubblicate.
[5] - V. Ferrari, "Pizzo Cafornia, Direttissima dal versante S" in: L'Appennino, 1982/2, p. 43-44, con uno schizzo (non dettagliato: più utile la descrizione). Salita quindi nell'inverno '81-82. V. descriz. in Iursici, 2012 (cit. per esteso qui sotto).
[6] - I Pilastri SSE di Pizzo Cafornia sono (su CTR 1:5000) q. 2133 - 2140 m e, quello più a monte, (s.q.), 2250 m ca. Vi sono state aperte più difficili vie dai fratelli Ranieri e C. Iurisci.
La via Iacuitti risale a circa metà anni '80. Si veda per descrizione e foto: Iurisci, Ghiaccio d'Appennino, 2012, pp. 269 seg. (NB: la traccia nelle due fig. riporta la "via Gallina-Baracchi", che comunque non è lì descritta, erroneamente molto più a des./E di dove passa in realtà). Oltre a questo preziosissimo volume sulle salite invernali, si veda anche la nota guida di C. Landi Vittorj, Appennino Centrale, CAI-TCI, 1955, pp. 182-184. Il Pizzo Cafornia è, per la sua conformazione ed esposizione, meno attraente per lo scialpinismo (ad eccez. del Gran diedro per lo sci ripido e le Coste SE) e per la roccia (malgrado la presenza in quota di vari torrioni, placche e spuntoni di calcare compattissimo).
[7] - C. Iurisci, op. cit. 2012, pp. 274-275; è la più tecnica di tutte, valutata (in invernale) PD+/AD- (max 55°, II).
[8] - Ne approfitto per ringraziare l'amica Francesca Ortolani "B.O." che, in anni recenti, mi ha proposto queste ascensioni sui bei versanti S di Velino-Cafornia (le mie trasferte abruzzesi sono solitamente orientate più su Maiella e PNALM).
[9] - La valutazione INVERNALE delle vie (Cfr. Iurisci, 2012, loc. cit.) varia tra PD(-) e PD+ (unico PD+/AD- è per quella più orientale, a E dei Pilastri).
Se è vero che il ghiaccio facilita i passaggi più "tecnici" in progressione con una o, meglio, 2 piccozze, è inutile dire che l'ambiente invernale presenta ben altre incognite: la possibilità di trovarsi a 55° su ghiaccio duro non è equiparabile a quella di starci quando il terreno è asciutto, anche perché, seppur in assenza di passaggi difficili o esposti, in realtà quasi tutta la salita è sul ripido (oltre 35°) quindi una disattenzione o inciampo si possono pagare care (perciò una piccozza può fare comodo anche nelle salite non invernali!). Probabilmente quindi, la "valutazione d'insieme" di queste vie sarebbe soggetta a perdere almeno "mezzo punto/+" se le si considera "in estiva", ma restano i "caveat" su ambiente e pendenza. [F.R.]


Foto e testo di Francesco Raffaele

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