Note dell'articolo
"La Camosciara e la Valle di Canneto"
di Francesco Raffaele

* NB: CLICCA QUI PER L'ARTICOLO COMPLETO
(con immagini, cartine, bibliografia e photo-reportage dell'escursione)

NOTE* :
--- --- --- VALLE CANNETO --- --- ---
[1] Su questo crinale, a partire dal Mt. Altare andando verso sud, corre il confine Lazio - Abruzzo, mentre sulla dorsale del versante opposto, dal Valico delle Gravare, passando per la Rocca Altiera, il Balzo di Canneto, fino alle porte di Picinisco, passa il confine sud-occidentale del Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise (oltre il quale si estende la cosiddetta "Area di Protezione esterna del Parco").
[2] Il fitotoponimo "Canneto" (di etimo chiaro ed ampia diffusione - cf. il Torrente C. nella cosiddetta "Valle dei Mulini" immediatam. a monte di Amalfi, SA) è antico, certo almeno quanto quello della chiesa della Madonna che vi fu edificata. Sulle carte seicentesche (Magini, Hondium etc.) è storpiato come S. M. Aconiti / S.M. Accanita; sull'Atlante di Rizzi-Zannoni (1808) è "S. Maria di Candito". L'idronimo Melfa presenta invece una radice più rara e interessante, melp-, melf-, malp-, malf-, che ricorre nei nomi antichi di vari centri e fiumi soprattutto al centro-sud (Melfa, Molpa, Melfi, Amalfi, Molfetta, Guado la Melfa - loc. quest'ultima presso Roccamandolfi, IS); alle suddette "basi" è stato attribuito il possibile valore di "sinuosità, incavo, voragine" (C. Marcato, voci nel Diz. di Toponomastica, UTET, 1990). Per altre notizie sul fiume cf. anche V. Arcari, Storia di Picinisco (1959, p. 31 seg.), che lo chiama Melfi e ne riporta la somiglianza glottologica con la dea Mefiti (loc. cit. n. 6).
[3] I valichi dell'Aceretta, di Monte Tranquillo, Forca d'Acero, l'Inguàgnera e delle Gravare, tutti ad ovest della V. di Canneto; il Passo dei Monaci, poco più ad est, immediatamente sotto il versante meridionale della Mèta. Alla testata della nostra valle, in loc. Tre Confini, il tracciato si sdoppia: la via normale (NW) giunge sul Pass(aggi)o dell'Orso e poi in Val Fondillo (Opi), mentre salendo a (NE) Forca Resuni, si può scendere a Civitella A. o a Barrea.
Per questi valichi vedi fig. in alto. Sulla pericolosità dei passi montani (bande di briganti): U. D'andrea, Memorie di... Villetta Barrea, vol. 2, p. 42 e passim; N.V. Cimini, Genesi, Vita e Storia nelle Terre dell'Orso, 2010, p. 116 e seg.
[4] Del culto di Mefite, diffuso dall'Abruzzo alla Lucania, molti aspetti (a partire dallo stesso nome della dea) restano piuttosto misteriosi, ma -al di là dell'associazione con le paludi e i luoghi con esalazioni mefitiche- pare che la divinità fosse connessa con le attività agricole (era detta anche "Aravina", forse da arvum, campo) e sicuramente con quelle pastorali (i santuari in Valle d'Ansanto, quello di Rossano di Vaglio e il sito di Aequum Tuticum con le vicine "Bolle della Malvizza", presso Ariano Irpino, erano tutti situati lungo dei tratturi), oltre che con i passaggi, le transizioni ... e le transazioni (era considerata "la mediatrice" secondo una possibile interpretazione della radice osca *mefiai che equivalrebbe al lat. medius e al gr. mesos 'centro', quindi "Colei che sta in mezzo"). Per approfondire: A. Mele (ed.), Il culto della dea Mefite e la Valle d'Ansanto (AV, 2008).
[5] Momsenn, CIL X, 5047. La colonnina non fu rinvenuta in Val Canneto, bensì in un orto di proprietà della famiglia Fasoli, ad Atina, poi passato ai fratelli Visocchi (Marsella, 1928, p. 6 e seg.; 67). La maggior parte degli studiosi che la menzionano propende per la sua originale attribuzione al tempio di Mefitis in Valle di Canneto, dove successivamente (in occasione dei citati lavori di captazione del 1958) emersero altri oggetti, attualmente esposti in una sala all'interno della Chiesa stessa (cf. V. Arcari, op. cit., 51).
[6] La chiesa è raggiungibile da W su strada da Settefrati attraversando il Passo della Rocca (1148m, sotto al Balzo di Canneto) oppure da S, via Picinisco, con la strada per il lago di Grotta Campanaro e poi c. 2,5Km di mulattiera (o anche interamente su sentiero, O2, partendo da Picinisco).
[7] Cf. le descrizioni e le foto d'epoca contenute nelle opere citate nella Bibliografia qui in calce. Oggi al pellegrinaggio al santuario di Settefrati è associata la "Sagra delle Quattro Regioni e dei Cento paesi".
[8] La rinata ferriera andò presto in crisi a causa della concorrenza della ferriera cominese di Rosanisco, e fu anch'essa abbandonata, i macchinari trafugati e i materiali utilizzati per la ristrutturazione del Santuario del Canneto. Vedi anche la collocazione sulla carta di Rizzi Zannoni (immagine qui in basso). Per la ferriera cf. A. Venturini, 2010 [web link].
[9] Pochi -e a quote basse- i boschi di ceduo nel PNALM, dove invece sono presenti interessantissime aree -seppur ristrette- di foreste "primeve", faggete cioè non utilizzate in età moderna e con alta densità di esemplari ultrasecolari. Per i vari aspetti delle faggete appenniniche cf. E. Rovelli, opere cit. nella bibliografia in calce a questa pagina. [ FOTO V. Canneto // LINK - E. Rovelli]. Per altre specie arboree cf. infra (La Camosciara).
[10] Vi si dipartono diversi sentieri, da quello principale che la risale interamente fino ai Tre Confini e al Valico Passaggio dell'Orso, ricalcando l'antica mulattiera per la Val Fondillo e la vecchia segheria di Opi (sent. F2), con le diramazioni N3 (Fonte Chiariglio/Chiarillo, poi K3, N1, L1 per la cima del Mt. La Meta, 2242m), O3 (Mandra delle Vacche, Anito delle Viarelle, Valico d. Gravare), O5 (Tre Confini - Forca Resuni).
[11] Nei giorni 10, 11 e 12 luglio 1985, la Val Canneto vide -in gran segreto- la presenza dell'amatissimo Papa Wojtyla, Giovanni Paolo II, che vi compì tre escursioni consecutive: il primo pomeriggio, appena atterrato in elicottero, si recò in località Le Cascatelle, poco a monte del Santuario, il secondo giorno effettuò la salita a Fonte Chiariglio (sent. N3) e quindi su una delle elevazioni a Nord del varco di "Torretta del Paradiso" (il sopraggiungere di qualche nube e forse la mancanza di allenamento di parte di alcuni membri del suo seguito gli impedirono di raggiungere l'obiettivo prefissato, ovvero la cima del Monte Meta, c. 300m di dislivello più in alto) e infine l'ultimo giorno il papa percorse l'intera vallata raggiungendo la sua testata in loc. Tre Confini. L'estate successiva un rotocalco pubblicò l'esclusiva: le foto erano state prese di nascosto da un agente del seguito e vendute al settimanale ("Gente", del 13/6/1986) che le localizzò però sulla Majella. Solo 20 anni dopo il fatto venne divulgato nei particolari. L'11/8/2008 la Cascata dello Schiappaturo, presso la quale il papa si era fermato, gli venne ufficialmente intitolata e vi fu posta una lapide commemorativa [Schioppaturo, FR 2013]. Per ulteriori info cf. link a www.settefrati.net qui in calce.
[12] E' situato a q. 1350m circa, presso l'omonima fonte, 4,5Km di sterrata/1 ora, dal parcheggio del Santuario; recentemente ristrutturato e gestito dal CAI di Cassino (foto ).
--- --- --- CAMOSCIARA --- --- ---
[13] I branchi di camosci che oggi possiamo ammiare su svariate cime del Parco Nazionale (e che hanno dato vita anche ai ceppi introdotti negli ultimi decenni su Majella e Gran Sasso) provengono tutti da quei pochi esemplari che sopravvissero nella Camosciara! I cacciatori abruzzesi non erano avvezzi a frequentare zone eccessivamente dirupate (come i cacciatori del Gran Sasso e ancor più quelli delle Alpi e Dolomiti), dato che nel loro territorio solo la Camosciara presentava queste caratteristiche.
Il periodo tra le due guerre mondiali ha costituito una fase delicatissima dal punto di vista ecologico: senza gli anni in cui vennero create le riserve e senza coloro che si batterono per la creazione del Parco Nazionale, avremo perso quasi certamente tutti gli orsi e camosci: questo perché, nella prima metà del XX° secolo, la precisione delle armi da fuoco aveva raggiunto standard molto alti, l'appronatmento della rete stradale (già a fine '800 era stata terminata l'attuale Strada Marsicana) e la diffusione della caccia come "sport" a tutti i ceti sociali (non era più prerogativa dei soli sovrani e di ricchi aristocratici) avrebbe certamente segnato la parola fine per queste specie, come era già accaduto ad altri mammiferi quali linci, cervi, caprioli etc.
- L'attività venatoria aveva caratteri, scopi e significati assai diversi a seconda della specie cacciata: i camosci e altri ungulati erano usati soprattutto per carne e pelle (oltre che per la pietra "bezoar", nel loro stomaco, usata come medicamento magico contro gli effetti dei veleni); i lupi erano da sterminare perché minacciavano le greggi danneggiando gli allevatori e, come le aquile, predavano anche i camosci che - vicini all'estinzione- andavano protetti (nei primi anni di vita del PNA, i lupi, volpi, aquile reali e molti altri predatori erano considerati "nocivi" e vennero fatti oggetto di una vera persecuzione autorizzata, con tanto di istruzioni per la costruzione di trappole, la preparazione di bocconi avvelenati etc., oltre che elargimenti di premi ai cacciatori per ogni carcassa di esemplare ucciso. Furono compiute mattanze impensabili (cf. Manuale del Parco Nazionale..., 1925; E. Sipari, Discorso del Presidente... 1926; F. Tassi, 1971, p. 673-696). Quanto agli orsi, i mammiferi più grandi e pericolosi dell'Appennino, la loro caccia -seppur anch'essa motivata dal danno inferto agli allevatori- investiva sicuramente anche aspetti simbolici e antropologici (come si evince negli studi etnografici su tutte le società del pianeta più o meno "civilizzate") che qui non possono essere approfonditi, oltre a fini politici: le prime riserve di caccia all'orso -dei cui periodi di effettività i plantigradi assai beneficiarono- vennero istituite (a partire dal 1872, a favore di Vittorio Emanuele II) soprattutto per cercare di "ospitare" il Re alle battute nei boschi dell'Alto Sangro, la qual cosa avrebbe portato svariati vantaggi sia alle nobili famiglie di Pescasseroli, Opi, Civitella, Villetta e Barrea che alla stessa realtà locale, ancora pesantemente chiusa nell'atavico isolamento per la carenza di buone vie di collegamento (cf. P. del Principe, Caccia all'Orso in Abruzzo, 1920; L. Piccioni, Il dono dell'Orso..., 1996; G. Tarquinio, Testimonianze storiche della presenza dell'orso bruno marsicano in Abruzzo..., 2001; F.R. Borel, L'Orso e l'Archeologia... dalla Preistoria al Medioevo, 2010; P. Galloni, Cacciare l'Orso... 2011). - Riguardo ai camosci, gli ultimi studi sulle specie appenniniche (e di altri stati europei), da quelle dell'originario nucleo sopravvissuto nella Camosciara ai gruppi creatisi dopo le reintroduzioni su Gran Sasso e Majella (anni '90), Sibillini (2008) e Sirente (2013-14, in loc. Valle Lupara/Valle Inserrata e più a occid. su Mandra Murata), cf. A. Antonucci e G. Di Domenico (eds.), Chamois International Confress. Proceedings, 2015 (Atti del convegno di Lama dei Peligni, 17-19 Giu. 2014, disponibili in rete in pdf).
Per la storia naturalistica, faunistica e venatoria in Abruzzo (e non solo) cf. il bel sito web "Storia della Fauna" curato dal naturalista Corradino Guacci, con bibliografia e ricca documentazione online (link qui in calce alla mia gallery).
Nella sezione bibliografica sul PNALM ho inserito vari articoli consultabili (alcuni anche on-line) per approfondimenti su flora, fauna e altri campi di studio. Per aspetti geologici del PNALM (la Camosciara è stranamente tra le zone meno indagate della Marsica) cf. R. Colacicchi, 1967 e la Carta geologica del PNA (Roma, 1986); per quelli glaciologici: A. Cinque et al., 1990; E. Jaurand, Les Glaciers disparus de l'Appennin, 1998.
[14] Camosciara: il suffisso -aro/-ara (lat., dal neutro -arium), indica pertinenza, attinenza (o anche presenza/abbondanza di qualcosa nel luogo cui fa riferim. il toponimo). E.g. Palombaro, Secinaro, V. Orsara etc. (Cf. Giammarco, TAM, 1990, p. 56; D. Boccia, 2016, p. 29-30). Quanto a Scèrto, significa(va) "incile, chiusa (di mulino)" (Giammarco, 1990, p. 357; Chiappinelli, 2002, 99).
[15] Il Chronicon Vulturnanse fu scritto dal Monaco Giovanni tra il 111 e il 1139: editio princeps, V. Federici, 1925 (vol.I) - 1938 (vol. III); stampa anastatica Istit. Storico Regionale del Molise (1995); traduz. ital. R.L. De Luca (in: M. Oldoni, ed., Chronicon Vulturnense del Monaco Giovanni, 2010).
[16] U. D'Andrea (Appunti e documenti sulle vicende storiche di Barrea, vol. I, 1963, p. 7-24) conosceva l'interpretazione di P. del Treppo (1955) ma la contestò, su basi tra l'altro non del tutto fragili. Personalmente però, seppur a secco di conoscenze sulla storia e sulle pertinenze delle Abbazie di S. Vincenzo al Volturno e Montecassino, trovo poche difficoltà nell'identificare il Monte Aze /Acze con La Meta, leggendo i passi ove le menzioni ricorrono nell'edizione di Federici del Chronicon (1925): la linea di confine del territorio (in alcuni casi la citaz. si riferisce a documenti probabilmente interpolati o falsificati, a favore di una delle due grandi badie) risale l'Alto Sangro dal ben noto Ponte della Zittola (Tratturo Regio e antica locanda, presso il bivio Alfedena - Castel di Sangro) e giunge -sempre risalendo il corso del Sangro- fino al monte Malo o Maro (ovvero l'attuale Monte Amaro di Opi, 1862m) da dove devia (a Sud) sulla linea che lo congiunge al Monte Aze per poi scendere nel corso in Val Canneto (alto Melfa) e procedere nel Mollarino. In una concessione del 1017 la linea procede da Monte Acero (ovv. Mt. Panìco o di S. Donato / Forca d'Acero) a Mt. Aze, per scendere il "Rivus Scurri" (Buscurri / i Biscurri, dove un tempo esisteva un casale alto-montano di Barrea di cui oggi non rimane più traccia: gli unici resti in loco sono quelli del Blockhaus ottocentesco costruito dai Borbone per la lotta al brigantaggio) o Rio Torto verso Alfedena. E' palese che Monte Aze è La Meta (così verrà chiamata nei documenti e nelle carte a partire almeno dal '500 - '600 fino ad oggi) e non può essere la Camosciara (Balzo della Chiesa o Sterpalto) soprattutto per una ragione logica: queste montagne sono troppo prossime al Monte Malo / Amaro e sarebbe stato del tutto inutile menzionare gruppi tanto vicini (per lo più inaccessibili e poco noti), mentre la Meta è da sempre una cima (oltre che un gruppo) importante e prominente, ben visibile sia dalla valle del Sangro (presso Alfedena) che dal versante ciociaro e da Montecassino.
La cartografia antica ci dà un'ulteriore conferma: le prime edizioni della Carta del Regno di Napoli di Rizzi-Zannoni (a. 1769 e 1780, in scala 1:400.000) riportano "Monte d'Azo" sulla catena compresa tra Barrea - Alfedena a Nord e Pucinisco (Picinisco) - Pizzone a Sud, ovvero i Monti della Meta ("Meta" comparirà solo nelle successive -più dettagliate e precise - edizioni dell'Atlante di Rizzi-Zannoni, pubblicate alla fine del '700).
[17] Fitotoponimo da "Zappini" (in abruzzese 'pini'; talv. anche 'cipressi' o 'abeti' - dal francese sapin) con tipico suffisso collettivo (lat. -ētum). NB: In Appennino Centrale (Guida dei Monti d'Italia, CAI/TCI, ediz. 1989, p. 251) si fa erroneamente derivare il termine Zappineti da "Zappi", i caproni, benché nell'edizione del 1955 (p. 379) C. Landi Vittorj ne avesse già specificato la corretta etimologia arborea.
Sulla Carta di Rizzi Zannoni, immediatam. a E della Zapponeta e a S dello Sterpalto c'è "M. de' Quadri", toponimo ancora esistente in loco, che forse un tempo era riferito all'intera dorsalina tra Passo Cavuto e Civitella, limitata a NW dalla Valle di Rose e a S dalla Valle Iannanghera, quindi comprendente sia il M. Boccanera (1982m) che M. dei Quadri (1603m). E' forse legato alla Chiesa di S. Maria dei Quatri (Quadri, CH, già Trebula) della diocesi di Valva, il cui confine meridionale (secondo un'attestaz. sempre nel Chronicon Vulturnense) giungeva alla valle del Sangro. In alternativa potrebbe derivare dal nome di una stirpe di feudatari o da un cognome locale (oggi diffuso soprattutto al nord), o ancora -come avevo pensato in passato- da una corruzione o refuso cartografico per "cesa" (ma assai poco probabile) o infine, più plausibilmente, era un riferimento alla Chiesa del Monastero di S. Angelo in Barreggio (Villetta Barrea) che sorgeva un tempo pochi Km a NE.
Da notare ancora, in questa sez. della carta di Rizzi Zannoni, la presenza di un altro "M. Amaro" (zona di Monte S. Marcello e Colle Nero) e soprattutto il "M. Pizzuto", che dovrebbe corrispondere all'attuale Petroso (2249m), come rilevabile dalla posiz. del "Colle Jamiccio" (e dalle valli corrispondenti alla Iannanghera e a V. d. Inferno) nonostante l'errore di collocazione di "Valle d'Ancina" (V. Jancino, posta dove dovrebbe essere l'alta V. Fondillo/Passaggio dell'Orso) e la resa dello sviluppo delle valli orientali, che farebbero propendere per "M. Pizzuto" = Mt. Capraro (2100m). [In realtà non ci si può attendere la massima precisione nella riproduzione dell'orografia delle cime, spec. delle più isolate... Da notare che sulle IGM un (colle) "M. Pizzuto" è situato meno di 1 Km a E di Civitella A. (q. 1131) poche centinaia di metri a sud del Lago]. - Nella carta di Rizzi Zannoni, sulla dorsale "Pizzuto" - "Meta" sono riprodotte altre due elevazioni senza nome (= Altare? e Tartaro) tra le quali risale una valle segnata "Forca Rasciuna" (è la Valle Resione delle IGM, = V. dell'Inferno; quindi la "Forca" indicherebbe il "Passo della Mad. delle Grazie") e, più a monte, "Acquaviva", indubbiamente l'attuale "Lago Vivo".
Infine la Val Fondillo (nome antico, contrariam. a quanto asserito nelle due edizioni della GMI, 1955 e 1989) è sull'Atlante del Regno riportata come "Mortelle": più che da "mirto" forse < dal dial. Mortari, cf. "Coppo del Mortaio" e "Tre Mortai" (nomi locali, non presenti sulle IGM), che sono ai piedi della Serra delle Gravare (da non confrondere con le cime Tre Mortari, site più a E sulla Costa Camosciara).
Ad ogni modo, per le questioni toponomastiche oltre alle monografie e memorie storiche locali bisognerebbe vagliare fonti bibliografiche più particolari: dai catasti settecenteschi alle carte antiche, alle cronache ecclesiastiche e altri manoscritti (poco resta di quello di S. Angelo in Barreggio, ma c'è una ricca documentazione a Montecassino e nell'Archivio di Stato di Napoli).
[18] Cf. soprattutto il convegno nazionale di Archeologia tenutosi a Villetta Barrea il 1-3 Maggio 1987 e i relativi atti: AAVV, Il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo... (1988). Inoltre: A. Di Marino, Storia di Opi (2002), cap. "Archeologia in zona Parco"; N.V. Cimini, op. cit., 2010.
[19] Cf. "Pietramara" sull'Atlante di Rizzi Zannoni (foto qui in basso) e sulle carte IGM 1:25000; è in territ. di Opi, ai piedi (SSE) del Mt. Forcone (Marsicano). Vi era una lapide romana, purtroppo vandalizzata nel 1877; il luogo ha una lunga storia di incidenti per la sua pericolosità (lo attraversava un ponticello in legno) e per le frequenti aggressioni dei briganti (U. D'Andrea, op. cit.; N.V. Cimini, op. cit., p. 116; A. Di Marino, Notizie, epigrafi ed emergenze storiche della Terra di Opi e dintorni, 2013, p. 16 e seg.).
[20] Opi (probabilm. il toponimo deriva da Oppidum più che dalla dea Ope) era anch'esso in una posizione estremamente centrale, pattugliando dall'alto del colle dove ancora oggi s'estende l'intero abitato (eccetto l'unica frazione, quella delle Casette Asismiche nate dopo il terremoto del 1915 sotto il versante E e le stalle "lë Pagliara" dall'altro lato), oltre alla direttrice principale della via Antica della Vallis Regia tra Pescasseroli e Barrea (ocre/fortezza marsa sul Colle della Regina), quelle per la Valle di Canneto (via Val Fondillo, dove c'è la necropoli italica più importante della zona e forse un altro "ocre" italico sul Monte Dubbio, a guardia dei valichi di Inguagnera, Gravare e Passeggio dell'Orso) e per la Val di Comino (via Valle Fredda e valico-valle di Forca d'Acero).
[21] I Cassinesi restaurarono la chiesa di S. Angelo in Barreggio presso Villetta ma spostarono il monastero a Barrea: è il cosiddetto "Studio", con le mura a picco sulla gola detta La Foce. Rocca Intramonti venne distrutta dai Cantelmo e dal terremoto del 1435, gli abitanti confluirono a Civitella e soprattutto formarono il primo nucleo di Villetta; la Rocca fu abbandonata dalla metà del '400, ma i dintorni furono oggetto di annose liti giudiziare per gli usi civici e il vicino mulino era utilizzato ancora nell'800.
Nel frattempo, sull'alto Sangro, si affacciavano anche la curia di Trivento (terr. tra Castel di Sangro e Alfedena, e forse partedi quello di Barrea) e la diocesi di Valva (più a occid., fino ai lembi meridionali delle terre di Scanno e Scontrone).
[22] La crisi definitiva della pastorizia fu sancita dalla messa a coltivazione di gran parte del Tavoliere pugliese, un tempo immenso pascolo delle greggi svernanti dalle località appenniniche. La transumanza era praticata da alcuni pastori ancora nel primo dopoguerra, ma l'usanza è stata poi definitivamente abbandonata anche per la maggiore convenienza del trasporto motorizzato degli animali. Sulla Transumanza (opere recenti, con bibliograf.): AAVV, Civiltà della Transumanza (1992); E. Petrocelli (ed.), La civiltà della Transumanza (1999); M. Notarmuzi, La pastorizia a Scanno. Cultura e terminologia (2005); S. Carnevale, L'architettura della Transumanza (2005); A. Di Iorio (ed.), La Pastorizia transumante (2007); cf. da ultimo diversi articoli (disponibili on-line) pubblicati da L. Piccioni negli anni '90.
[23] Nei primi anni '50 si creò l'invaso artificiale a monte della Foce di Barrea: il Lago di Barrea sommerse il tracciato del tratturo, la chiesetta e convento di Mad. delle Grazie, il vecchio cimitero del paese, mulini, fornaci e un lanificio. Già negli anni '20 un simile progetto di inondare Le Prata (piana al confine tra Pescasseroli e Opi) fu respinto dagli amministratori dei due paesi e bocciato anche grazie al parere contrario di geologi, zoologi e del senatore Erminio Sipari (cf. L.A. Sipari, "Il Parco Nazionale d'Abruzzo liberato dall'allagamento"..., 2004; L.V. Cimini, op. cit., 2010, p. 160 e seg.).
[24] C. Del Principe, Caccia all'Orso in Abruzzo, in: "L'Abruzzo", I/5, 1920; E. Sipari, Relazione..., 1926, p. 44; p. 52-59; L. Piccioni, Il Dono dell'Orso..., in: "Abruzzo Contemporaneo" 2, 1996, p. 61-113;
[25] E. Sipari, op. cit. p. 60 e seg.; cf. sul tema l'importante articolo di L. Piccioni, La Natura come posta in gioco..., 2000, spec. p. 969 e seg.; N.V. Cimini, op. cit., 2010, p. 162 seg.
[26] Successivamente altri comuni deliberarono simili proposte; intanto dalla Pro Montibus prendeva vita l'Ente Parco (EP PNA; riunione 25/11/1921) il cui Direttorio Provvisorio, il 17/1/1923, accettava i contratti di fitto stipulati dalla Pro Montibus.
Cf. E. Sipari, op. cit., p. 74, 91 e seg. ; N.V. Cimini, op. cit. 2010, p. 163 seg.; A. Di Marino, op. cit., 2013, p. 205-209 (copia dei verbali del comune di Opi).
[27] Cf. G. Tarquinio, Per la storia del Parco Nazionale d'Abruzzo... (1950-1963), 1998, p. 77 seg.; L. Piccioni, op. cit., 2000, p. 1021 seg.; N.V. Cimini, op. cit., p. 185 seg. Smorzatesi, tra la metà degli anni '60 e i '70, le velleità speculative dei politici e venuta meno la forza del "Modello Roccaraso" (che nel frattempo aveva mietuto molti altri danni: le varie stazioni sciistiche abruzzesi), il PNA conobbe il suo periodo più florido dal 1969, con la nomina a direttore di Franco Tassi. Nel 1976 si reagì ad un tentativo di aprire impianti sciistici sul Mt. Marsicano, allargando i confini dell'area del PNA fino a comprendere anche questa montagna. Al di là delle pecche dell'amministrazione Tassi, che si concluse in modo piuttosto burrascoso, vanno -a mio parere- sottolineati due ordini di meriti: in primo luogo il PNA come organismo burocratico e come ambiente naturale, beneficiò di un rilancio propagandistico e di una concreta spinta per la salvaguardia ambientale (con promozione di ricerche scientifiche, manutenzione di sentieri e rifugi, ripopolamenti faunistici, limitazione dei tagli etc...) sconosciuti fino ad allora - e, purtroppo, anche oggigiorno- tanto da diventare l'"esempio da imitare", in Italia e anche all'estero! Inoltre, di riflesso, i successi dei primi 25 anni di gestione, diedero il "la" alla definitiva maturazione dell'associazionismo ambientalista ed ecologista (da cui Tassi stesso proveniva) che otterrà numerosi successi nella protezione del patrimonio naturalistico italiano, sfociando poi nell'approvazione della legge quadro sui Parchi (1991).
Dal 2002 il Parco, che nel frattempo ha incluso nel suo perimetro altre fette di territorio, oltre a prevedere un areale di "protezione esterna", si amplia anche nel nome che diviene "Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise" (PNALM).
Nonostante l'attuale periodo non sia tra i più felici della sua esistenza (complice forse anche la crisi economica del paese), il PNALM resta una delle mete più interessanti e gettonate dal turismo, specialmente per la diffusione sempre maggiore degli ultimi decenni, al fianco degli sport invernali, della pratica dell'escursionismo, disciplina alla quale il Parco offre innumerevoli possibilità, ambienti vari e spettacolari e il non secondario "bonus" della probabilità di incontri con gli animali di varie specie. La statistica delle specie animali - dati all'anno 2000- parla di 336 specie di vertebrati e 3996 di invertebrati; quella dei vegetali annovera più di 2000 specie floristiche censite, ovvero 1/3 dei taxa presenti sull'intero territorio nazionale!
[28] Nei primi anni di vita del PNA era possibile, dal sentiero realizzato a partire dal piazzale della Camosciara e diretto alla Grotta del Fauno (non esisteva ancora il Rifugio Belvedere della Liscia), traversare in Valle Angina / Jancino per l'omonima sella, discendendo quindi in Val Fondillo (cf. L.V. Bertarelli, Italia Meridionale, vol. 1, TCI, ediz. 1926, p. 349). Per la descriz. dei sentieri escursionistici nella Camosciara cf. S. Ardito, A piedi nel Parco... 2011 (cit. qui in Bibliografia), p. 100 seg.
[29] Via F. Botti, A. Laviosa, A. Pagani, A. e T. Brianti, P. Stefanini; cf. Boll. Sez. Roma, 1925/10, p. 154; Riv. Mens., 1927, p. 330; C. Landi Vittorj, Appennino Centrale, CAI-TCI, 1955, p. 384 seg. (e schizzo p. 383); id., riediz. 1989, p. 259-260 (qui valut. D, II e passaggi di III). Altre vie su roccia furono aperte sulle pareti ovest e nord-ovest del Balzo della Chiesa negli anni '50 e '60 (cf. op. cit., 1989, p. 257-259).
[30] Per il Canalino N della Sella dei Tre Mortari, cf. C. Iurisci (in Bibliograf.) 2012, p. 401-402 (PD-, 250m, 40°, tratti 55°). Questo canalino si trova a des. (SW) nell'anfiteatro dominato a S dalla q. 2038 (anticima W del Balzo d. C.) e viene anche sciato (OSA).