Escursione in solitaria dalla Madonna di Canneto alle cime della Camosciara: TRE MORTARI - BALZO DELLA CHIESA - MONTE CAPRARO. Ritorno da Forca Resuni e sent. O5 - F2 (=ex O1)

Valle Canneto - Le Cascatelle - Fonte Acquanera - Fonte la Noce/Casone Bartolomucci - Pietra con l'Acqua - Tre Confini - Tre Mortari (q.1944) - Sella dei Tre Mortari - Balzo della Chiesa (2073m)
- Forcella di Monte Capraro - Monte Capraro (2100m) - Forca Resuni. [Ritorno in notturna per la Valle Tre Confini - Valle di Canneto].

(6 Febbraio 2016)
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LA CAMOSCIARA E LA VALLE DI CANNETO
(Francesco Raffaele, ott. 2016)

Canneto (foto da D. Antonelli, 1969; anni '20-30?)

Valle di Canneto (foto anni '50) [cf. nota 9]

La Camosciara/Balzo della Chiesa (cartolina anni '70)

La Camosciara, vecchia cartolina

- LA VALLE DI CANNETO
Ubicata nei territori comunali di Settefrati e Picinisco (FR), la Valle di Canneto si sviluppa in direzione Nord-Sud tra i gruppi del Monte Irto - Bellaveduta/Rocca Altiera a ovest e quello del Petroso-Tartaro-Meta a est [1]. Culla del fiume Melfa, il "Canneto" [2] costituiva sin dall'antichità un'importante via di comunicazione e d'interscambio tra la valle dell'alto Sangro, lembo sudorientale delle terre dei Marsi (attualmente territorio di Opi, AQ) e quelle un tempo occupate dai Volsci (l'odierna Ciociaria), le valli di Comino e del Liri. La direttrice che la unisce alla Val Fondillo, attraverso il Valico "Passaggio dell'Orso" (1672m, tra Monte Irto e Costa Camosciara) era assai frequentata (ma meno di quelle di V. Forca d'Acero e V. Fischia/V.co delle Gravare): percorribile in meno di una giornata, con relativa sicurezza rispetto ad altri valichi più alti, isolati e di più difficile orientamento e transitabilità in caso di condizioni meteorologiche avverse [3]. Sulle mulattiere montane transitavano legname, patate, formaggi, carni e altri prodotti dell'alta valle del Sangro che erano scambiati con olio, frutta e materie delle valli di Comino e Liri.
L'importanza dell'arteria di comunicazione dell'alto corso del fiume Melfa si evidenzia già in età antica (pre-dominazione romana), come testimonia la presenza di un tempio della dea italica Mefitis le cui tracce emersero nel 1958 durante gli scavi dell'"Acquedotto degli Aurunci" che devastarono la sorgente Capodacqua, presso il santuario della Madonna del Canneto, dove un tempo essa formava un laghetto.
Il culto di Mefitis [4] in Val Canneto era in realtà già attestato da una colonnetta litica (nota almeno dal 1786) con iscrizione di due schiavi liberti che la dedicavano ex-voto ai loro ex-padroni affrancatori e alla stessa dea [5].
Nell'antichità la vicina Valle Comino vide svolgersi importanti battaglie, in particolare nella Terza Guerra Sannitica quando, dopo la sconfitta Romana e l'onta delle Forche Caudine, i maggiori centri della zona, fra cui Cominium, subirono la rappresaglia degli eserciti Romani che li rasero al suolo. Alcuni decenni dopo, forse si combatté anche nella zona della Val di Canneto: "E' fama che il cartaginese Annibale, valicate le Alpi e vinti i Romani al Ticino, alla Trebbia ed al Trasimeno (218 - 217 a.C., II Guerra Punica) nel recarsi in Puglia (Canne 216 a.C.) combatté sulle pendici del Monte Mèta e la Valle di Canneto fu teatro di una grande battaglia tra Cartaginesi e legionari Romani i quali, pare, ostacolassero il passaggio delle milizie avversarie. Il recente rinvenimento di numerose monete dell'epoca Romana, nei pressi del Santuario della Madonna di Canneto, dimostra l'indiscusso passaggio, in detto luogo, dei legionari Romani, i quali, o per tradizione o per auspicio prima del combattimento, solevano gettare nello specchio d'acqua antistante al tempio della dea Mefiti, una moneta di rame". (V. Arcari, Storia di Picinisco, 1959, p. 50-51).
Sugli importanti luoghi di culto pagani venivano sovente fondate chiese cristiane: il Santuario della Madonna di Canneto è situato proprio all'entrata della valle (q. 1021m) in posizione quantomai scenografica [6]. La sua prima attestazione è nel Chronicon Volturnense che lo menziona in una bolla di Papa Pasquale I dell'819; poi ricorre nel 1288, quando alla chiesa della Maria SS risulta essere annesso un monastero benedettino.
Il Pellegrinaggio al santuario della Madonna di Canneto si tiene dal 18-22 Agosto: un tempo vi giungevano fino a 50-60.000 persone da più di 150 comuni di Lazio, Abruzzo, Molise e Campania! [7]
Oltre che per le sorgenti e come via di passaggio, l'alto Melfa era centro di importanti attività lavorative: numerosi mulini esistevano nel tratto più a valle del santuario e una ferriera si trovava nelle vicinanze. Alle pendici occidentali del Mt. Meta esistevano infatti giacimenti di minerali ferrosi, e i Borbone costruirono verso il 1770 una ferriera-fonderia, abbandonata pochi decenni dopo, durante la parentesi del governo giacobino, per poi essere riedificata nel 1852 da Ferdinando II; ne restano dei ruderi [8]. Poco a valle dell'abitato di Picinisco (loc. Castellone) vi erano mulini e la cartiera Bartolomucci (famiglia cui appartenevano anche i due omonimi casoni in Valle di Canneto, come riportato anche sulle carte IGM).
La valle e le sue diramazioni (ad es. la valle Mandra delle Vacche, in des. idrogr.) davano accesso ai pascoli settefratesi in quota (aniti), divisi con quelli di S. Donato Val Comino (più a ovest, accessibili dalla V. Fischia).
Era assai frequentata dai cacciatori e pescatori, finché non venne inclusa nella perimetrazione del PNALM - contrariamente ai versanti laziali delle valli di Forca d'Acero, Capo d'Acqua ed al Vallone Lacerno, oltre alla Valle Longa più a NW, rimaste incomprensibilmente fuori-parco. Sono noti molti avvistamenti -storici e moderni- di Orso Marsicano in queste valli (in alcuni casi relativamente recenti sono stati trovati esemplari uccisi dai bracconieri nel più selvaggio, isolato e non sorvegliato V. Lacerno). Sulle pareti della bassa Valle di Canneto nidifica una delle 2-3 coppie storiche di Aquila reale del PNALM, purtroppo poco produttiva in quanto a prole, certo non poco disturbata dalla circolazione di mezzi e persone nel vicino parcheggio e soprattutto costantemente minacciata dai cavi dell'alta e media tensione fra i tralicci a poche centinaia di metri di rimpetto al nido, in pieno areale di volo...
Le vastissime faggete della valle furono utilizzate -come in tutto il paese- spesso in modo del tutto sregolato: i boschi demaniali erano tra le poche ricchezze che i comuni montani avevano a quel tempo per edificare strade e altre opere pubbliche o per sopravvivere alle annate di carestie e siccità: le concessioni alle compagnie "forestiere" di tagli per (decine di) migliaia di esemplari di faggi erano purtroppo la regola ovunque; oggi i boschi del PNALM (foreste d'alto fusto) sono generalmente in buona ripresa, sia per il minore impatto del pascolo che per gli accordi fra Ente Parco e Comuni che regolamentano i tagli (pur sempre effettuati!) [9].
La Valle di Canneto è insomma uno dei luoghi più interessanti -posto per molti incantevole- del PNALM, nonostante le problematiche sopra citate e soprattutto malgrado la cospicua captazione delle acque dell'alto Melfa che alimentano il bacino artificiale di Lago Grotta Campanaro (centrale idroelettrica; FOTO), riducendo ai minimi termini la portata del torrente; ... e la vecchia sterrata/carrareccia di esbosco che giunge fino ai Tre Confini.
Ai nostri giorni la valle è mèta -oltre che dei pellegrini che si recano al santuario- soprattutto di escursionisti [10]: il paesaggio è maestoso in ogni stagione ed offre camminate per tutti. Nel tratto iniziale-intermedio vi sono vari punti dove vale la pena di lasciare il sentiero e scendere al corso d'acqua (località Le Cascatelle, Cascata dello Schioppaturo) che forma interessanti cascatelle, canaletti di roccia, 'marmittoni', salti e brevi gole. E' risaputo -per lo meno in quel di Settefrati- che qui camminò anche Papa Giovanni Paolo II: vi compì tre escursioni nell'estate del 1985 [11].
Oltre che nei locali dei salesiani (poco a monte del parcheggio), esiste la possibilità di pernotto nel rifugio Acquanera [12].


- LA CAMOSCIARA
Magnifica esedra di dolomie liassiche La Camosciara è un angolo di Dolomiti trapianatato nel sud dell'Abruzzo: ad eccezione del Gran Sasso, l'Appennino non vanta (sotto-)gruppi montuosi dall'orografia così "alpestre". Al valore paesaggistico e geologico di questa valle si aggiunge quello naturalistico: il suo carattere relativamente impervio fu la più efficace egida per la conservazione delle ultime decine di esemplari di orsi e camosci appenninici: un secolo fa, quando orsi e aquile erano ancora presenti in altre zone del PNA, i camosci si erano già estinti da tempo su Gran Sasso e Majella e gli ultimi esemplari sopravvivevano proprio tra gli scoscesi anfratti e sulle paurose balze della Camosciara (ne restavano solo 30-40 all'inizio degli anni '20 del '900, numero inferiore a quello stimato per gli orsi!) [13]. Dal punto di vista floristico la zona annovera interessanti rarità, quali il pino nero (Pinus nigra) e il pino mugo (Pinus mugo) che puntellano i pinnacoli e le creste più elevate e, nel fondovalle, la bella orchidea nota come "Scarpetta di Venere" (Cypripedium calceolus).
"Tra le realizzazioni più significative ... [n.d.F.R.: dei primi anni dell'amministrazione Tassi] ... sta la creazione della Riserva Integrale della Camosciara la quale, istituita nel 1972 nel cuore di una delle più belle e importanti zone naturali del Parco stesso e dell'intero Appennino, si estende per un complesso di circa 650 ettari di eccezionale valore ambientale e rappresenta quindi la più grande e rilevante iniziativa del genere finora realizzata in Italia. Essa comprende tanto l'area della Camosciara vera e propria , da tempo assunta in gestione dal Parco grazie ad accordi speciali con il comune di Civitella Alfedena, quanto il limitrofo territorio della Vaccareccia di proprietà del Parco. Vi è poi da considerare che la Riserva della Camosciara si integra armoniosamente con le adiacenti Riserve Naturali Orientate del Colle di Licco, di 95 ettari (entro il territorio del Parco) e del Feudo Intramonti di 908 ettari (fuori Parco), entrambe istituite dall'Azienda di Stato per le Foreste Demaniali nel corso degli ultimi anni, e con la vicina proprietà della stessa Azienda del Feudo Bartolomucci, di 264 ettari (nel Parco). Per assicurare inoltre la tutela delle aree circostanti, meno estese ma di elevato valore naturalistico, l'Ente Parco ha già proceduto all'acquisto di circa 100 ettari complessivi di terreni privati, ubicati per la maggior parte nel settore basso della Camosciara. Nell'insieme, quindi, si è venuto a costituire un territorio di oltre 2000 ettari adeguatamente tutelati". (Franco Tassi, dalla prefazione di "Parco Nazionale d'Abruzzo" di A. Boccazzi-Varotto, 1978, p. xvi).
"Camosciara" è denominazione relativamente recente (fine '700-'800); s'ignora quale fosse il nome antico (ma cf. infra) delle cime che cingono a sud l'alta Valle Casera dove nasce il torrente Scerto [14]. Il validissimo storico di Villetta Barrea, Uberto d'Andrea, riteneva che al gruppo della Camosciara (e forse al Mt. Sterpi d'Alto in particolare), andasse riferita la designazione Monte Acze (Monte Aze o Azze) ricorrente nel Chronicon Vulturnense in documenti inerenti confini, ripartizioni e donazioni di terre all'Abbazia di San Vincenzo al Volturno (o al Monastero di Montecassino, secondo i periodi) [15], ma in realtà è assodato che "Monte Aze" o "Monte d'Azo" fosse il nome tardo-antico e medievale della Meta (o meglio quello dell'intera catena dei Monti della Meta, inclusa, forse, anche parte delle Mainarde) [16].
Sulle carte topografiche del grande Atlante borbonico del Regno di Napoli elaborato da G.A. Rizzi Zannoni (incis. di G. Guerra; pubblicate a cavallo tra '700 e '800; vedi fig. qui in basso), la corona di monti tra "M. Maro" (già Malo, ovv. M. Amaro di Opi) e "Sterpalto" (Sterpi d'Alto) porta il nome di "Zapponeta". Tale denominazione oggi sussiste solo sulle carte IGM: Monti Zappineti [17] a designare i crinali e gli avancorpi - irti di pini neri (zappini) e mughi- che serrano a Sud l'anfiteatro della Camosciara con le cime del Balzo della Chiesa e Monte Capraro. E' probabile che Zappineti/ Zapponeta fosse quindi l'antica denominazione del gruppo montuoso in esame.

STORIA E STORIE - Dal punto di vista storico-archeologico, la "Vallis Regia", il tratto di valle del Sangro compreso tra Pescasseroli/Opi e Barrea, è un'area assai interessante, ancorché fatta oggetto solo di limitate ricerche sistematiche [18]. Sin dall'antichità il solco vallivo dell'alto Sangro era un'importante arteria di transito "trasversale" (W-E) per genti e armenti, come dimostra il Tratturo [fig.] che ne seguiva qui quasi integralmente il corso (ad eccez. delle loc. Le Foci di Opi e La Foce di Barrea, aggirate perché il fiume vi si inforra). Peculiarità geomorfologica era la sua facile controllabilità, dato che in un paio di punti la via si chiude tra i versanti dei monti che la cingono a Nord e Sud: uno di questi punti è il famigerato Passo di Pietramara [19], l'altro è la gola dove il torr. Scerto si getta nel Sangro (1 Km a valle del Casone Antonucci, tra loc. Pietre Rosse e Colle S. Ianni).
Quest'ultima zona, che a noi interessa, doveva essere frequentata almeno dal Paleolitico superiore (cf. la Grotta Achille Graziani, nei pressi di Villetta Barrea, frequentata dal Paleolitico superiore -Bertoniano- c.19000 anni fa, fino all'età del Bronzo/Ferro e poi ancora da locali popolazioni italiche) per la ricchezza di sorgenti d'acqua, fauna e legname. In particolare nella Camosciara sono note stazioni dalla prima età del Ferro (dal IX sec. a.C.) nella Grotta- Riparo del Fauno e, più su, al Piano della Liscia (ampio gradone boscoso a circa q.1300m sotto la Sorgente della Liscia, sul sentiero che porta al Rifugio Belvedere d. Liscia). Queste genti - forse con commistioni di popolaz. vicine- formarono i ceppi sabellici (Marsi e Volsci) che divennero stanziali nel territorio nel corso del I millennio a.C., erigendo diversi "ocres", insediamenti fortificati (l'Oppidum di Opi e Civitella Alfedena) [20] che ancora una volta testimoniano l'importanza strategica dell'"asse viario" dell'Alto Sangro, confine fra i territori dei Marsi (fino ad Opi), Volsci (versante Val Canneto e Val Comino e forse Barrea) e Sanniti Caraceni (Alfedena). I centri fortificati e i corredi funerari (nelle sepolture delle necropoli di Val Fondillo e Alfedena) caratterizzati da una marcata enfasi su armi e oggetti d'uso militare, indicano che la valle e le sue ricchezze erano controllate da élite guerriere.
In età repubblicana vi sorsero alcune ville rustiche romane e santuari italici, fino alla disfatta dei Marsi nella Guerra Sociale (I sec. a.C) quando la Vallis Regia divenne parte della IV Regio Augustea. I paesi rimasero relativamente a riparo dalle prime invasioni barbariche fino all'arrivo dei Longobardi nel VI sec, periodo in cui cominciavano a nascere anche le prime cittadelle monastiche benedettine: presso Villetta B. sorse il monastero di S. Angelo in Barreggio (ne restano solo pochi ruderi nell'attuale cimitero di Villetta B.), cui fece seguito -con la funzione di presidio della valle- la fondazione del villaggio di Rocca Intramonti ("Rocca Tre Monti" sulle carte) su di un colle proprio all'imbocco della Camosciara, tra Piano della Corte (attuale area di parcheggio della riserva) e Pian del Molino (dove giunge la mulattiera da Civitella).
Successivamente la zona fu ancora terra di confine (cf. nota 16), tra le tenute dei monasteri di S. Vincenzo al Volturno e Montecassino che, nel 1017, ereditò dai principi di Capua buona parte dei territori di S. Angelo in Barreggio, distrutta qualche decennio prima dalle scorrerie di ungari e saraceni [21]. La storia medievale di questi paesi segue le sorti dell'intero sud Italia, tra soprusi dei feudatari locali (i Di Sangro, poi i Cantelmo di Alvito, i Caldora e i D'Afflitto di Scala) e le dominazioni straniere: con gli Aragonesi venne regolamentata la transumanza ("Dogana della mena delle pecore", 1447) e ripristinati i tratturi, cosicché l'industria armentinzia divenne, seppur con fasi alterne, la ricchezza trainante dell'intero Abruzzo, fino al lento declino tra la fine del '700 e l'inizio del '900 [22].
La crisi della pastorizia transumante lasciò i paesi dell'Alto Sangro in uno stato di estrema prostrazione economica e sociale che, esacerbato dal Terremoto del 1915 e dal primo conflitto mondiale, diede una fortissima spinta all' emigrazione e quindi allo spopolamento dei centri montani. I paesi potevano contare solo sulle ricchezze del loro territorio, perciò si accentuò il taglio dei boschi d'alto fusto e si costruirono centrali idroelettriche [23].
Il miglioramento della -qui inefficiente- rete viaria borbonica, attuatosi nei decenni tra l'Unità d'Italia e le due guerre, fece uscire definitivamente queste realtà da un atavico isolamento culturale, proprio mentre andava profilandosi un nuovo fondamentale propulsore dell'economia italiana: il turismo di massa.
Le famiglie più in vista dei paesini avevano cercato di ghermire l'attenzione del re -per ragioni politiche- istituendo a più riprese la riserva di caccia reale (già dal 1872, v. nota 13), riserva che però -per svariati motivi- vide solo in un'occasione l'effettiva battuta di caccia re(g)ale (Vittorio Emanuele III, nel 1899) [24], tanto che nel primo dopoguerra l'ufficio del"Gran Cacciatore" declinò in via definitiva l'offerta della riserva di caccia.
La constatazione dell'utilità, per la fauna, dei divieti venatori, unita a quella dell'impatto sempre più massiccio e devastante della caccia sulle popolazioni di orsi e camosci, mobilitò vari botanici e zoologi - in particolare R. Pirrotta e A. Ghigi, quest'ultimo presidente dell'associaz. "Pro Montibus et Sylvis"- che iniziarono a perorare la causa/idea di un grande parco naturale "nello stile dei parchi svizzeri" in Abruzzo [25].
Il 2 ottobre 1921 il consiglio comunale di Opi presieduto dal sindaco E. Ursitti, su proposta dell'arciprete Don A. Ursitti, si riunì per deliberare sulla concessione di un'area montana del territorio del comune ("Costa Camosciara", in des. idrogr. dell'alta Val Fondillo, tra Fosso di Ciccio e Passaggio dell'Orso) da concedere in fitto alla Pro Montibus (al canone di 2000 lire l'anno); decisione che successivamente vide la maggioranza dei voti a favore e l'approvazione dalla giunta de L'Aquila il 21 dicembre 1921 [26]. Si tratta di un passo decisivo verso l'istituzione del 2° Parco Nazionale d'Italia.
Non è questa la sede per riassumere la storia del PNA (nato ufficialmente da decreto dell'11/1/1923, approvato il 12/7/1923, pochi mesi dopo quello del Gran Paradiso del dic. 1922), la cui infanzia sotto la direzione di Erminio Sipari ebbe una forte battuta di arresto dagli anni '30, quando la gestione passò alla milizia forestale fascista (con una preoccupante "escalation dei tagli" nelle faggete fino al secondo dopoguerra) e la "rinascita" del Parco nel 1952, in pieno boom economico, periodo durante il quale il PNA attraversò una fase persino più nera e vergognosa della precedente. Si iniziò con la "sistemazione" di alcune strade interne, come la carrereccia della Val Canneto e quella per il piazzale della Camosciara, addirittura asfaltata (ma da diversi anni chiusa al traffico degli autoveicoli). La Camosciara catturò l'interesse di alcune società di speculatori edilizi specializzati nella costruzione di alberghi, residences e villette a schiera: sbandierando la causa della promozione turistica, vi si prese di mira anche il sito di Rocca Intramonti per costruirvi un Rifugio-Albergo e una serie di villette unifamiliari a un piano, proposta che incredibilmente l'Ente Parco approvò (1956) e che il comune di Civitella A. -oggi una realtà esemplare e un punto di riferimento in materia di sviluppo (eco-)sostenibile- supportò e pubblicizzò tramite la concessione all'attore A. Nazzari di 12 ettari di terreno pubblico per la cifra simbolica di 1 lira x m²! Le concessioni vennero poi ritirate ma ormai era stata spianata la via per la corsa alla cementificazione, che lanciò la costruzione di vari villini nel fondovalle della Camosciara e nelle due valli dirimpettaie (Ciavolara e Rapino) sull'opposto versante della Valle del Sangro (oltre che i vari residence sui Colli Bassi di Pescasseroli, le ville sull'altopiano della Cicerana, poi smantellate, e altri sfregi perpetrati soprattutto per la corruzione dilagante nelle amministrazioni locali -un paio di sindaci di Pescasseroli e il Corpo Forestale- con il coinvolgimento nelle manovre speculative di ministri dell'Agricoltura, parlamentari, alti funzionari di Stato e del Vaticano...) [27].

I MONTI DELLA CAMOSCIARA
- All'interno di un Parco che è di per se stesso uno scrigno naturalistico d'eccezione, la Camosciara ne è certo la gemma più preziosa. Peculiarità che è valsa a farne, come detto sopra, una riserva integrale di protezione, con accesso controllato e limitatissime possibilità escursionistiche e alpinistiche [28]. A inizio agosto del 1925 la valle tra il Balzo della Chiesa e le pareti sotto Passo Cavuto (loc. Costa Borea) fu teatro di un temporaneo campo base del CAI di Roma i cui alpinisti aprirono la prima via sulla parete Nord del Balzo della Chiesa [29]; seguirono le attività di poche altre cordate alpinistiche (soprattutto anni '50-'60).
Dato l'obbligo dei permessi e le conseguenti lungaggini, i valloni e canali più alti della Camosciara vengono oggi percorsi saltuariamente e quasi solo d'inverno, per risalite con ramponi e piccozze (da Nord: diff. da PD- in su; discesa a Forca Resuni opp., dalla Forcella del Capraro, F/PD-, al Rif. Belvedere della Liscia; da Sud, Tre Confini, generalm. più facili) [30] o per discese in sci lungo i canali Nord che scendono dal crinale tra la cima centrale (q. 1944m) dei Tre Mortari e il Balzo della Chiesa/Capraro. Per via dei rigidi divieti della Riserva Integrale (divieti peraltro sinceramente condivisibili in questa zona; forse ci si potrebbe al limite auspicare una maggiore tolleranza ed elasticità nel concedere permessi nel periodo invernale) eviterò di dettagliare ulteriormente sulle vie escursionistiche e gli avvicinamenti alpinistici in questo settore.
La verde vallata della Camosciara (o dei Monti Zappineti) ha una conformazione a "V", con la concavità percorsa dal torrente Scerto che scorre per c. 3 Km verso Nord per gettarsi nel Sangro (al Km 56,7 della SS 83, Marsicana). E' racchiusa interamente nel territorio comunale di Civitella Alfedena (area SW) con qualche propaggine sconfinante nel settore SE di quello di Opi. La dorsale montana che compone la Camosciara può ritenersi tanto un'apofisi o estremo lembo settentrionale della catena dei Monti della Meta (che si dipana dal Passo dei Monaci, che la separa dalle Mainarde, fino a Forca Resuni) quanto un sottogruppo a sé stante, protendentesi a NW del valico di Forca Resuni. La corona di cime più alte -sul vertice meridionale della "V"- fa da spartiacque tra l'alta Valle del Melfa (Valle di Canneto/Valle Tre Confini) e quella del Sangro (Camosciara/V. Casera).
Il braccio destro (E) della dorsale s'innalza sopra Civitella Alfedena con il Monte Sterpi d'Alto (Sterpalto, Sterpidalto, 1966m) dall'inconfondibile sagoma slanciata, spec. se osservato da N, la cui cresta -che separa la Camosciara dalla Valle di Rose- prosegue verso SSW deprimendosi su Passo Cavuto (1942m), per risollevarsi subito (inizio Riserva Integrale) alla quota più alta del sottogruppo, la cima del Mt. Capraro (2100m; ma 2099m) che sta poco a NW della sella/passo (e rifugio) di Forca Resuni (1952m). Verso WNW la linea di displuvio continua sulla cresta sempre più fitta di pini mughi, calando sulla Forcella di M. Capraro (1993m; 1994m CTR), che dà origine verso N al grande Vallone dominato a E (Costa Borea?) dal crinale dello Sterpidalto, che poi si stringe a NNW formando lo Scerto sotto il Rif. della Liscia. Oltre la Forcella il crinale sale in cima al Balzo della Chiesa (2073m), seconda elevazione del gruppo, che si protende verso N per c. 600m con un notevole avancorpo circondato sui tre versanti da pareti, canali e alti camini/diedri d'interesse alpinistico (cf. n. 29); su ambo i suoi versanti NW e NE albergavano ghiacciai quaternari.
Da qui la direttrice diventa E-W e, dopo la vicina anticima W (q. 2038m) che domina l'angusto anfiteatro glaciale ai piedi del versante NW del Balzo della Chiesa, la mugheta cala sulla Sella dei Tre Mortari (CTR: 1968,4m), tra q. 2038 e q. 1978. In corrispondenza di questa sella (ove risale il canalino della nota 30), la cresta si sdoppia: verso N scende un accidentato crinale, che poi piega verso NNW, diretto verso il Monte Amaro (cf. infra), mentre la dorsale E-W prosegue sul maggiore e più orientale dei Tre Mortari (q. 1978 IGM, 1979 CTR), difeso da una fitta barriera di mughi e a W anche da una paretina rocciosa. Oltre questa elevazione si apre un'altra ampia sella a W della quale si innalza il centrale (q. 1944) e più a NW la q. 1915 e infine un quarto torrione (q.1884), che separa l'alta Val Fondillo -loc. "Costa Camosciara" IGM- dalla Valle Jancino / Angina. Tornando alla dorsale che si diparte a N dalla Sella dei Tre Mortari, essa scende sulla Sella di Valle Jancino (1673m, che sul versante E dà vita a un canale che mena nello Scerto pochi min. a valle del Rifugio B. d. Licia) e poi risale su torrioni selvaggi completamente coperti di mughi e pini neri, sul costolone E-W senza nome (q. 1832 IGM) che si protende nella Camosciara a E e che a W separa la V. Jancino dalla V. Cacciagrande (Caccia- o Coccia Jeranne). Proseguendo a NNW, la linea separa la testata della V. Cacciagrande da quelle del Vall. della Sorg. della Liscia, Vall. della Maddalena e Vallone delle Palanche, sul quale (q. 1573) si apre la sella di V. Cacciagrande. A monte di questa si innalzano le anticime E del Monte Amaro di Opi (una traccia passa nel bosco sotto queste anticime) il cui crinale -frequentato da un numeroso branco di camosci- piega verso W sulla cima (1862m) e prosegue a WNW sull'anticima W, sulla sella dell'antico Stazzo di pastori, e quindi scende (Vavez' i Gian Nicola, Balzo di Gian Nicola) sulla Val Fondillo in direz. della Sorgente Tornareccia, parallelo al frequentato sentiero F1.

NOTE - (Leggi le note in un'altra finestra) [La Bibliografia essenziale è in fondo alla pagina]
[1] Su questo crinale, a partire dal Mt. Altare andando verso sud, corre il confine Lazio - Abruzzo, mentre sulla dorsale del versante opposto, dal Valico delle Gravare, passando per la Rocca Altiera, il Balzo di Canneto, fino alle porte di Picinisco, passa il confine sud-occidentale del Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise (oltre il quale si estende la cosiddetta "Area di Protezione esterna del Parco").
[2] Il fitotoponimo "Canneto" (di etimo chiaro ed ampia diffusione - cf. il Torrente C. nella cosiddetta "Valle dei Mulini" immediatam. a monte di Amalfi, SA) è antico, certo almeno quanto quello della chiesa della Madonna che vi fu edificata. Sulle carte seicentesche (Magini, Hondium etc.) è storpiato come S. M. Aconiti / S.M. Accanita; sull'Atlante di Rizzi-Zannoni (1808) è "S. Maria di Candito". L'idronimo Melfa presenta invece una radice più rara e interessante, melp-, melf-, malp-, malf-, che ricorre nei nomi antichi di vari centri e fiumi soprattutto al centro-sud (Melfa, Molpa, Melfi, Amalfi, Molfetta, Guado la Melfa - loc. quest'ultima presso Roccamandolfi, IS); alle suddette "basi" è stato attribuito il possibile valore di "sinuosità, incavo, voragine" (C. Marcato, voci nel Diz. di Toponomastica, UTET, 1990). Per altre notizie sul fiume cf. anche V. Arcari, Storia di Picinisco (1959, p. 31 seg.), che lo chiama Melfi e ne riporta la somiglianza glottologica con la dea Mefiti (loc. cit. n. 6).
[3] I valichi dell'Aceretta, di Monte Tranquillo, Forca d'Acero, l'Inguàgnera e delle Gravare, tutti ad ovest della V. di Canneto; il Passo dei Monaci, poco più ad est, immediatamente sotto il versante meridionale della Mèta. Alla testata della nostra valle, in loc. Tre Confini, il tracciato si sdoppia: la via normale (NW) giunge sul Pass(aggi)o dell'Orso e poi in Val Fondillo (Opi), mentre salendo a (NE) Forca Resuni, si può scendere a Civitella A. o a Barrea.
Per questi valichi vedi fig. in alto. Sulla pericolosità dei passi montani (bande di briganti): U. D'andrea, Memorie di... Villetta Barrea, vol. 2, p. 42 e passim; N.V. Cimini, Genesi, Vita e Storia nelle Terre dell'Orso, 2010, p. 116 e seg.
[4] Del culto di Mefite, diffuso dall'Abruzzo alla Lucania, molti aspetti (a partire dallo stesso nome della dea) restano piuttosto misteriosi, ma -al di là dell'associazione con le paludi e i luoghi con esalazioni mefitiche- pare che la divinità fosse connessa con le attività agricole (era detta anche "Aravina", forse da arvum, campo) e sicuramente con quelle pastorali (i santuari in Valle d'Ansanto, quello di Rossano di Vaglio e il sito di Aequum Tuticum con le vicine "Bolle della Malvizza", presso Ariano Irpino, erano tutti situati lungo dei tratturi), oltre che con i passaggi, le transizioni ... e le transazioni (era considerata "la mediatrice" secondo una possibile interpretazione della radice osca *mefiai che equivalrebbe al lat. medius e al gr. mesos 'centro', quindi "Colei che sta in mezzo"). Per approfondire: A. Mele (ed.), Il culto della dea Mefite e la Valle d'Ansanto (AV, 2008).
[5] Momsenn, CIL X, 5047. La colonnina non fu rinvenuta in Val Canneto, bensì in un orto di proprietà della famiglia Fasoli, ad Atina, poi passato ai fratelli Visocchi (Marsella, 1928, p. 6 e seg.; 67). La maggior parte degli studiosi che la menzionano propende per la sua originale attribuzione al tempio di Mefitis in Valle di Canneto, dove successivamente (in occasione dei citati lavori di captazione del 1958) emersero altri oggetti, attualmente esposti in una sala all'interno della Chiesa stessa (cf. V. Arcari, op. cit., 51).
[6] La chiesa è raggiungibile da W su strada da Settefrati attraversando il Passo della Rocca (1148m, sotto al Balzo di Canneto) oppure da S, via Picinisco, con la strada per il lago di Grotta Campanaro e poi c. 2,5Km di mulattiera (o anche interamente su sentiero, O2, partendo da Picinisco).
[7] Cf. le descrizioni e le foto d'epoca contenute nelle opere citate nella Bibliografia qui in calce. Oggi al pellegrinaggio al santuario di Settefrati è associata la "Sagra delle Quattro Regioni e dei Cento paesi".
[8] La rinata ferriera andò presto in crisi a causa della concorrenza della ferriera cominese di Rosanisco, e fu anch'essa abbandonata, i macchinari trafugati e i materiali utilizzati per la ristrutturazione del Santuario del Canneto. Vedi anche la collocazione sulla carta di Rizzi Zannoni (immagine qui in basso). Per la ferriera cf. A. Venturini, 2010 [web link].
[9] Pochi -e a quote basse- i boschi di ceduo nel PNALM, dove invece sono presenti interessantissime aree -seppur ristrette- di foreste "primeve", faggete cioè non utilizzate in età moderna e con alta densità di esemplari ultrasecolari. Per i vari aspetti delle faggete appenniniche cf. E. Rovelli, opere cit. nella bibliografia in calce a questa pagina. [ FOTO V. Canneto // LINK - E. Rovelli]. Per altre specie arboree cf. infra (La Camosciara).
[10] Vi si dipartono diversi sentieri, da quello principale che la risale interamente fino ai Tre Confini e al Valico Passaggio dell'Orso, ricalcando l'antica mulattiera per la Val Fondillo e la vecchia segheria di Opi (sent. F2), con le diramazioni N3 (Fonte Chiariglio/Chiarillo, poi K3, N1, L1 per la cima del Mt. La Meta, 2242m), O3 (Mandra delle Vacche, Anito delle Viarelle, Valico d. Gravare), O5 (Tre Confini - Forca Resuni).
[11] Nei giorni 10, 11 e 12 luglio 1985, la Val Canneto vide -in gran segreto- la presenza dell'amatissimo Papa Wojtyla, Giovanni Paolo II, che vi compì tre escursioni consecutive: il primo pomeriggio, appena atterrato in elicottero, si recò in località Le Cascatelle, poco a monte del Santuario, il secondo giorno effettuò la salita a Fonte Chiariglio (sent. N3) e quindi su una delle elevazioni a Nord del varco di "Torretta del Paradiso" (il sopraggiungere di qualche nube e forse la mancanza di allenamento di parte di alcuni membri del suo seguito gli impedirono di raggiungere l'obiettivo prefissato, ovvero la cima del Monte Meta, c. 300m di dislivello più in alto) e infine l'ultimo giorno il papa percorse l'intera vallata raggiungendo la sua testata in loc. Tre Confini. L'estate successiva un rotocalco pubblicò l'esclusiva: le foto erano state prese di nascosto da un agente del seguito e vendute al settimanale ("Gente", del 13/6/1986) che le localizzò però sulla Majella. Solo 20 anni dopo il fatto venne divulgato nei particolari. L'11/8/2008 la Cascata dello Schiappaturo, presso la quale il papa si era fermato, gli venne ufficialmente intitolata e vi fu posta una lapide commemorativa [Schioppaturo, FR 2013]. Per ulteriori info cf. link a www.settefrati.net qui in calce.

[12] E' situato a q. 1350m circa, presso l'omonima fonte, 4,5Km di sterrata/1 ora, dal parcheggio del Santuario; recentemente ristrutturato e gestito dal CAI di Cassino (foto ).
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[13] I branchi di camosci che oggi possiamo ammiare su svariate cime del Parco Nazionale (e che hanno dato vita anche ai ceppi introdotti negli ultimi decenni su Majella e Gran Sasso) provengono tutti da quei pochi esemplari che sopravvissero nella Camosciara! I cacciatori abruzzesi non erano avvezzi a frequentare zone eccessivamente dirupate (come i cacciatori del Gran Sasso e ancor più quelli delle Alpi e Dolomiti), dato che nel loro territorio solo la Camosciara presentava queste caratteristiche.
Il periodo tra le due guerre mondiali ha costituito una fase delicatissima dal punto di vista ecologico: senza gli anni in cui vennero create le riserve e senza coloro che si batterono per la creazione del Parco Nazionale, avremo perso quasi certamente tutti gli orsi e camosci: questo perché, nella prima metà del XX° secolo, la precisione delle armi da fuoco aveva raggiunto standard molto alti, l'appronatmento della rete stradale (già a fine '800 era stata terminata l'attuale Strada Marsicana) e la diffusione della caccia come "sport" a tutti i ceti sociali (non era più prerogativa dei soli sovrani e di ricchi aristocratici) avrebbe certamente segnato la parola fine per queste specie, come era già accaduto ad altri mammiferi quali linci, cervi, caprioli etc.
- L'attività venatoria aveva caratteri, scopi e significati assai diversi a seconda della specie cacciata: i camosci e altri ungulati erano usati soprattutto per carne e pelle (oltre che per la pietra "bezoar", nel loro stomaco, usata come medicamento magico contro gli effetti dei veleni); i lupi erano da sterminare perché minacciavano le greggi danneggiando gli allevatori e, come le aquile, predavano anche i camosci che - vicini all'estinzione- andavano protetti (nei primi anni di vita del PNA, i lupi, volpi, aquile reali e molti altri predatori erano considerati "nocivi" e vennero fatti oggetto di una vera persecuzione autorizzata, con tanto di istruzioni per la costruzione di trappole, la preparazione di bocconi avvelenati etc., oltre che elargimenti di premi ai cacciatori per ogni carcassa di esemplare ucciso. Furono compiute mattanze impensabili (cf. Manuale del Parco Nazionale..., 1925; E. Sipari, Discorso del Presidente... 1926; F. Tassi, 1971, p. 673-696). Quanto agli orsi, i mammiferi più grandi e pericolosi dell'Appennino, la loro caccia -seppur anch'essa motivata dal danno inferto agli allevatori- investiva sicuramente anche aspetti simbolici e antropologici (come si evince negli studi etnografici su tutte le società del pianeta più o meno "civilizzate") che qui non possono essere approfonditi, oltre a fini politici: le prime riserve di caccia all'orso -dei cui periodi di effettività i plantigradi assai beneficiarono- vennero istituite (a partire dal 1872, a favore di Vittorio Emanuele II) soprattutto per cercare di "ospitare" il Re alle battute nei boschi dell'Alto Sangro, la qual cosa avrebbe portato svariati vantaggi sia alle nobili famiglie di Pescasseroli, Opi, Civitella, Villetta e Barrea che alla stessa realtà locale, ancora pesantemente chiusa nell'atavico isolamento per la carenza di buone vie di collegamento (cf. P. del Principe, Caccia all'Orso in Abruzzo, 1920; L. Piccioni, Il dono dell'Orso..., 1996; G. Tarquinio, Testimonianze storiche della presenza dell'orso bruno marsicano in Abruzzo..., 2001; F.R. Borel, L'Orso e l'Archeologia... dalla Preistoria al Medioevo, 2010; P. Galloni, Cacciare l'Orso... 2011). - Riguardo ai camosci, gli ultimi studi sulle specie appenniniche (e di altri stati europei), da quelle dell'originario nucleo sopravvissuto nella Camosciara ai gruppi creatisi dopo le reintroduzioni su Gran Sasso e Majella (anni '90), Sibillini (2008) e Sirente (2013-14, in loc. Valle Lupara/Valle Inserrata e più a occid. su Mandra Murata), cf. A. Antonucci e G. Di Domenico (eds.), Chamois International Confress. Proceedings, 2015 (Atti del convegno di Lama dei Peligni, 17-19 Giu. 2014, disponibili in rete in pdf).
Per la storia naturalistica, faunistica e venatoria in Abruzzo (e non solo) cf. il bel sito web "Storia della Fauna" curato dal naturalista Corradino Guacci, con bibliografia e ricca documentazione online (link qui in calce alla mia gallery).
Nella sezione bibliografica sul PNALM ho inserito vari articoli consultabili (alcuni anche on-line) per approfondimenti su flora, fauna e altri campi di studio. Per aspetti geologici del PNALM (la Camosciara è stranamente tra le zone meno indagate della Marsica) cf. R. Colacicchi, 1967 e la Carta geologica del PNA (Roma, 1986); per quelli glaciologici: A. Cinque et al., 1990; E. Jaurand, Les Glaciers disparus de l'Appennin, 1998.
[14] Camosciara: il suffisso -aro/-ara (lat., dal neutro -arium), indica pertinenza, attinenza (o anche presenza/abbondanza di qualcosa nel luogo cui fa riferim. il toponimo). E.g. Palombaro, Secinaro, V. Orsara etc. (Cf. Giammarco, TAM, 1990, p. 56; D. Boccia, 2016, p. 29-30). Quanto a Scèrto, significa(va) "incile, chiusa (di mulino)" (Giammarco, 1990, p. 357; Chiappinelli, 2002, 99).
[15] Il Chronicon Vulturnanse fu scritto dal Monaco Giovanni tra il 111 e il 1139: editio princeps, V. Federici, 1925 (vol.I) - 1938 (vol. III); stampa anastatica Istit. Storico Regionale del Molise (1995); traduz. ital. R.L. De Luca (in: M. Oldoni, ed., Chronicon Vulturnense del Monaco Giovanni, 2010).
[16] U. D'Andrea (Appunti e documenti sulle vicende storiche di Barrea, vol. I, 1963, p. 7-24) conosceva l'interpretazione di P. del Treppo (1955) ma la contestò, su basi tra l'altro non del tutto fragili. Personalmente però, seppur a secco di conoscenze sulla storia e sulle pertinenze delle Abbazie di S. Vincenzo al Volturno e Montecassino, trovo poche difficoltà nell'identificare il Monte Aze /Acze con La Meta, leggendo i passi ove le menzioni ricorrono nell'edizione di Federici del Chronicon (1925): la linea di confine del territorio (in alcuni casi la citaz. si riferisce a documenti probabilmente interpolati o falsificati, a favore di una delle due grandi badie) risale l'Alto Sangro dal ben noto Ponte della Zittola (Tratturo Regio e antica locanda, presso il bivio Alfedena - Castel di Sangro) e giunge -sempre risalendo il corso del Sangro- fino al monte Malo o Maro (ovvero l'attuale Monte Amaro di Opi, 1862m) da dove devia (a Sud) sulla linea che lo congiunge al Monte Aze per poi scendere nel corso in Val Canneto (alto Melfa) e procedere nel Mollarino. In una concessione del 1017 la linea procede da Monte Acero (ovv. Mt. Panìco o di S. Donato / Forca d'Acero) a Mt. Aze, per scendere il "Rivus Scurri" (Buscurri / i Biscurri, dove un tempo esisteva un casale alto-montano di Barrea di cui oggi non rimane più traccia: gli unici resti in loco sono quelli del Blockhaus ottocentesco costruito dai Borbone per la lotta al brigantaggio) o Rio Torto verso Alfedena. E' palese che Monte Aze è La Meta (così verrà chiamata nei documenti e nelle carte a partire almeno dal '500 - '600 fino ad oggi) e non può essere la Camosciara (Balzo della Chiesa o Sterpalto) soprattutto per una ragione logica: queste montagne sono troppo prossime al Monte Malo / Amaro e sarebbe stato del tutto inutile menzionare gruppi tanto vicini (per lo più inaccessibili e poco noti), mentre la Meta è da sempre una cima (oltre che un gruppo) importante e prominente, ben visibile sia dalla valle del Sangro (presso Alfedena) che dal versante ciociaro e da Montecassino.
La cartografia antica ci dà un'ulteriore conferma: le prime edizioni della Carta del Regno di Napoli di Rizzi-Zannoni (a. 1769 e 1780, in scala 1:400.000) riportano "Monte d'Azo" sulla catena compresa tra Barrea - Alfedena a Nord e Pucinisco (Picinisco) - Pizzone a Sud, ovvero i Monti della Meta ("Meta" comparirà solo nelle successive -più dettagliate e precise - edizioni dell'Atlante di Rizzi-Zannoni, pubblicate alla fine del '700).
[17] Fitotoponimo da "Zappini" (in abruzzese 'pini'; talv. anche 'cipressi' o 'abeti' - dal francese sapin) con tipico suffisso collettivo (lat. -ētum). NB: In Appennino Centrale (Guida dei Monti d'Italia, CAI/TCI, ediz. 1989, p. 251) si fa erroneamente derivare il termine Zappineti da "Zappi", i caproni, benché nell'edizione del 1955 (p. 379) C. Landi Vittorj ne avesse già specificato la corretta etimologia arborea.
Sulla Carta di Rizzi Zannoni, immediatam. a E della Zapponeta e a S dello Sterpalto c'è "M. de' Quadri", toponimo ancora esistente in loco, che forse un tempo era riferito all'intera dorsalina tra Passo Cavuto e Civitella, limitata a NW dalla Valle di Rose e a S dalla Valle Iannanghera, quindi comprendente sia il M. Boccanera (1982m) che M. dei Quadri (1603m). E' forse legato alla Chiesa di S. Maria dei Quatri (Quadri, CH, già Trebula) della diocesi di Valva, il cui confine meridionale (secondo un'attestaz. sempre nel Chronicon Vulturnense) giungeva alla valle del Sangro. In alternativa potrebbe derivare dal nome di una stirpe di feudatari o da un cognome locale (oggi diffuso soprattutto al nord), o ancora -come avevo pensato in passato- da una corruzione o refuso cartografico per "cesa" (ma assai poco probabile) o infine, più plausibilmente, era un riferimento alla Chiesa del Monastero di S. Angelo in Barreggio (Villetta Barrea) che sorgeva un tempo pochi Km a NE.
Da notare ancora, in questa sez. della carta di Rizzi Zannoni, la presenza di un altro "M. Amaro" (zona di Monte S. Marcello e Colle Nero) e soprattutto il "M. Pizzuto", che dovrebbe corrispondere all'attuale Petroso (2249m), come rilevabile dalla posiz. del "Colle Jamiccio" (e dalle valli corrispondenti alla Iannanghera e a V. d. Inferno) nonostante l'errore di collocazione di "Valle d'Ancina" (V. Jancino, posta dove dovrebbe essere l'alta V. Fondillo/Passaggio dell'Orso) e la resa dello sviluppo delle valli orientali, che farebbero propendere per "M. Pizzuto" = Mt. Capraro (2100m). [In realtà non ci si può attendere la massima precisione nella riproduzione dell'orografia delle cime, spec. delle più isolate... Da notare che sulle IGM un (colle) "M. Pizzuto" è situato meno di 1 Km a E di Civitella A. (q. 1131) poche centinaia di metri a sud del Lago]. - Nella carta di Rizzi Zannoni, sulla dorsale "Pizzuto" - "Meta" sono riprodotte altre due elevazioni senza nome (= Altare? e Tartaro) tra le quali risale una valle segnata "Forca Rasciuna" (è la Valle Resione delle IGM, = V. dell'Inferno; quindi la "Forca" indicherebbe il "Passo della Mad. delle Grazie") e, più a monte, "Acquaviva", indubbiamente l'attuale "Lago Vivo".
Infine la Val Fondillo (nome antico, contrariam. a quanto asserito nelle due edizioni della GMI, 1955 e 1989) è sull'Atlante del Regno riportata come "Mortelle": più che da "mirto" forse < dal dial. Mortari, cf. "Coppo del Mortaio" e "Tre Mortai" (nomi locali, non presenti sulle IGM), che sono ai piedi della Serra delle Gravare (da non confrondere con le cime Tre Mortari, site più a E sulla Costa Camosciara).
Ad ogni modo, per le questioni toponomastiche oltre alle monografie e memorie storiche locali bisognerebbe vagliare fonti bibliografiche più particolari: dai catasti settecenteschi alle carte antiche, alle cronache ecclesiastiche e altri manoscritti (poco resta di quello di S. Angelo in Barreggio, ma c'è una ricca documentazione a Montecassino e nell'Archivio di Stato di Napoli).
[18] Cf. soprattutto il convegno nazionale di Archeologia tenutosi a Villetta Barrea il 1-3 Maggio 1987 e i relativi atti: AAVV, Il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo... (1988). Inoltre: A. Di Marino, Storia di Opi (2002), cap. "Archeologia in zona Parco"; N.V. Cimini, op. cit., 2010.
[19] Cf. "Pietramara" sull'Atlante di Rizzi Zannoni (foto qui in basso) e sulle carte IGM 1:25000; è in territ. di Opi, ai piedi (SSE) del Mt. Forcone (Marsicano). Vi era una lapide romana, purtroppo vandalizzata nel 1877; il luogo ha una lunga storia di incidenti per la sua pericolosità (lo attraversava un ponticello in legno) e per le frequenti aggressioni dei briganti (U. D'Andrea, op. cit.; N.V. Cimini, op. cit., p. 116; A. Di Marino, Notizie, epigrafi ed emergenze storiche della Terra di Opi e dintorni, 2013, p. 16 e seg.).
[20] Opi (probabilm. il toponimo deriva da Oppidum più che dalla dea Ope) era anch'esso in una posizione estremamente centrale, pattugliando dall'alto del colle dove ancora oggi s'estende l'intero abitato (eccetto l'unica frazione, quella delle Casette Asismiche nate dopo il terremoto del 1915 sotto il versante E e le stalle "lë Pagliara" dall'altro lato), oltre alla direttrice principale della via Antica della Vallis Regia tra Pescasseroli e Barrea (ocre/fortezza marsa sul Colle della Regina), quelle per la Valle di Canneto (via Val Fondillo, dove c'è la necropoli italica più importante della zona e forse un altro "ocre" italico sul Monte Dubbio, a guardia dei valichi di Inguagnera, Gravare e Passeggio dell'Orso) e per la Val di Comino (via Valle Fredda e valico-valle di Forca d'Acero).
[21] I Cassinesi restaurarono la chiesa di S. Angelo in Barreggio presso Villetta ma spostarono il monastero a Barrea: è il cosiddetto "Studio", con le mura a picco sulla gola detta La Foce. Rocca Intramonti venne distrutta dai Cantelmo e dal terremoto del 1435, gli abitanti confluirono a Civitella e soprattutto formarono il primo nucleo di Villetta; la Rocca fu abbandonata dalla metà del '400, ma i dintorni furono oggetto di annose liti giudiziare per gli usi civici e il vicino mulino era utilizzato ancora nell'800.
Nel frattempo, sull'alto Sangro, si affacciavano anche la curia di Trivento (terr. tra Castel di Sangro e Alfedena, e forse partedi quello di Barrea) e la diocesi di Valva (più a occid., fino ai lembi meridionali delle terre di Scanno e Scontrone).
[22] La crisi definitiva della pastorizia fu sancita dalla messa a coltivazione di gran parte del Tavoliere pugliese, un tempo immenso pascolo delle greggi svernanti dalle località appenniniche. La transumanza era praticata da alcuni pastori ancora nel primo dopoguerra, ma l'usanza è stata poi definitivamente abbandonata anche per la maggiore convenienza del trasporto motorizzato degli animali. Sulla Transumanza (opere recenti, con bibliograf.): AAVV, Civiltà della Transumanza (1992); E. Petrocelli (ed.), La civiltà della Transumanza (1999); M. Notarmuzi, La pastorizia a Scanno. Cultura e terminologia (2005); S. Carnevale, L'architettura della Transumanza (2005); A. Di Iorio (ed.), La Pastorizia transumante (2007); cf. da ultimo diversi articoli (disponibili on-line) pubblicati da L. Piccioni negli anni '90.
[23] Nei primi anni '50 si creò l'invaso artificiale a monte della Foce di Barrea: il Lago di Barrea sommerse il tracciato del tratturo, la chiesetta e convento di Mad. delle Grazie, il vecchio cimitero del paese, mulini, fornaci e un lanificio. Già negli anni '20 un simile progetto di inondare Le Prata (piana al confine tra Pescasseroli e Opi) fu respinto dagli amministratori dei due paesi e bocciato anche grazie al parere contrario di geologi, zoologi e del senatore Erminio Sipari (cf. L.A. Sipari, "Il Parco Nazionale d'Abruzzo liberato dall'allagamento"..., 2004; L.V. Cimini, op. cit., 2010, p. 160 e seg.).
[24] C. Del Principe, Caccia all'Orso in Abruzzo, in: "L'Abruzzo", I/5, 1920; E. Sipari, Relazione..., 1926, p. 44; p. 52-59; L. Piccioni, Il Dono dell'Orso..., in: "Abruzzo Contemporaneo" 2, 1996, p. 61-113;
[25] E. Sipari, op. cit. p. 60 e seg.; cf. sul tema l'importante articolo di L. Piccioni, La Natura come posta in gioco..., 2000, spec. p. 969 e seg.; N.V. Cimini, op. cit., 2010, p. 162 seg.
[26] Successivamente altri comuni deliberarono simili proposte; intanto dalla Pro Montibus prendeva vita l'Ente Parco (EP PNA; riunione 25/11/1921) il cui Direttorio Provvisorio, il 17/1/1923, accettava i contratti di fitto stipulati dalla Pro Montibus.
Cf. E. Sipari, op. cit., p. 74, 91 e seg. ; N.V. Cimini, op. cit. 2010, p. 163 seg.; A. Di Marino, op. cit., 2013, p. 205-209 (copia dei verbali del comune di Opi).
[27] Cf. G. Tarquinio, Per la storia del Parco Nazionale d'Abruzzo... (1950-1963), 1998, p. 77 seg.; L. Piccioni, op. cit., 2000, p. 1021 seg.; N.V. Cimini, op. cit., p. 185 seg. Smorzatesi, tra la metà degli anni '60 e i '70, le velleità speculative dei politici e venuta meno la forza del "Modello Roccaraso" (che nel frattempo aveva mietuto molti altri danni: le varie stazioni sciistiche abruzzesi), il PNA conobbe il suo periodo più florido dal 1969, con la nomina a direttore di Franco Tassi. Nel 1976 si reagì ad un tentativo di aprire impianti sciistici sul Mt. Marsicano, allargando i confini dell'area del PNA fino a comprendere anche questa montagna. Al di là delle pecche dell'amministrazione Tassi, che si concluse in modo piuttosto burrascoso, vanno -a mio parere- sottolineati due ordini di meriti: in primo luogo il PNA come organismo burocratico e come ambiente naturale, beneficiò di un rilancio propagandistico e di una concreta spinta per la salvaguardia ambientale (con promozione di ricerche scientifiche, manutenzione di sentieri e rifugi, ripopolamenti faunistici, limitazione dei tagli etc...) sconosciuti fino ad allora - e, purtroppo, anche oggigiorno- tanto da diventare l'"esempio da imitare", in Italia e anche all'estero! Inoltre, di riflesso, i successi dei primi 25 anni di gestione, diedero il "la" alla definitiva maturazione dell'associazionismo ambientalista ed ecologista (da cui Tassi stesso proveniva) che otterrà numerosi successi nella protezione del patrimonio naturalistico italiano, sfociando poi nell'approvazione della legge quadro sui Parchi (1991).
Dal 2002 il Parco, che nel frattempo ha incluso nel suo perimetro altre fette di territorio, oltre a prevedere un areale di "protezione esterna", si amplia anche nel nome che diviene "Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise" (PNALM).
Nonostante l'attuale periodo non sia tra i più felici della sua esistenza (complice forse anche la crisi economica del paese), il PNALM resta una delle mete più interessanti e gettonate dal turismo, specialmente per la diffusione sempre maggiore degli ultimi decenni, al fianco degli sport invernali, della pratica dell'escursionismo, disciplina alla quale il Parco offre innumerevoli possibilità, ambienti vari e spettacolari e il non secondario "bonus" della probabilità di incontri con gli animali di varie specie. La statistica delle specie animali - dati all'anno 2000- parla di 336 specie di vertebrati e 3996 di invertebrati; quella dei vegetali annovera più di 2000 specie floristiche censite, ovvero 1/3 dei taxa presenti sull'intero territorio nazionale!
[28] Nei primi anni di vita del PNA era possibile, dal sentiero realizzato a partire dal piazzale della Camosciara e diretto alla Grotta del Fauno (non esisteva ancora il Rifugio Belvedere della Liscia), traversare in Valle Angina / Jancino per l'omonima sella, discendendo quindi in Val Fondillo (cf. L.V. Bertarelli, Italia Meridionale, vol. 1, TCI, ediz. 1926, p. 349). Per la descriz. dei sentieri escursionistici nella Camosciara cf. S. Ardito, A piedi nel Parco... 2011 (cit. qui in Bibliografia), p. 100 seg.
[29] Via F. Botti, A. Laviosa, A. Pagani, A. e T. Brianti, P. Stefanini; cf. Boll. Sez. Roma, 1925/10, p. 154; Riv. Mens., 1927, p. 330; C. Landi Vittorj, Appennino Centrale, CAI-TCI, 1955, p. 384 seg. (e schizzo p. 383); id., riediz. 1989, p. 259-260 (qui valut. D, II e passaggi di III). Altre vie su roccia furono aperte sulle pareti ovest e nord-ovest del Balzo della Chiesa negli anni '50 e '60 (cf. op. cit., 1989, p. 257-259).
[30] Per il Canalino N della Sella dei Tre Mortari, cf. C. Iurisci (in Bibliograf.) 2012, p. 401-402 (PD-, 250m, 40°, tratti 55°). Questo canalino si trova a des. (SW) nell'anfiteatro dominato a S dalla q. 2038 (anticima W del Balzo d. C.) e viene anche sciato (OSA).


"S.M. di Candito" e "Zapponeta"
(G.A. Rizzi Zannoni, Atlante del Regno, 1808)

Valle di Canneto e Camosciara *
* [le tracce sono di altre escursioni]

Camosciara, schizzo semplificato
(G. Buscaini, in: GMI, TCI/CAI, 1989)

Camosciara / Zappineti
[IGM 1:25000 su foto SAT]

Cime della Camosciara e Monti della Meta da Nord

Tre Mortari e un camoscio

Panorama a 360° dai Tre Mortari (q. 1944) 6/2/2106

Le cime della Camosciara viste dalla Cocciagrande (q.1816), 1/3/2017
Articolo di Francesco Raffaele, ottobre 2016 (con aggiunte Gennaio 2017)


Fotografie dell'escursione in solitaria del 6 Febbraio 2016:


Approfittando di un inverno con innevamento da record -purtroppo in negativo- mi lancio in questo giro alla testata della Val Canneto-Tre Confini, risalendo sulle vette della Camosciara dal versante sud. Luoghi che ricordo sin dalle vacanze in camping a Pescasseroli negli anni '80, posti in cui desideravo immergermi da tempo, almeno da quando, a metà agosto 2003, con l'amico Paolo, salii per l'alto corso dello Scerto, partendo da sotto al Rifugio Belvedere della Liscia, per giungere ai piedi della parete N del Balzo della Chiesa (stando a quanto ricordo della visuale che avevamo dal balcone roccioso ove ci fermammo, che guardava dritto a Nord verso la strada di accesso al piazzale della Camosciara). Purtroppo per un problema con il rollino della vecchia analogica, non ho scatti successivi alla risalita del torrente (ricco di saltini e di grandi massi) e mi restano solo i ricordi di quel panino consumato su una scenografica cengia tra palline di camoscio, con la schiena poggiata sull'immenso muraglione di quello spalto aereo e maestoso donde gli sguardi si perdevano nel verde mare di boschi senza fine.
Ciò che mi ha frenato per tanti anni - e che a quei tempo forse ignoravo - è che la zona costituisce una delle aree di "Riserva Integrale" del PNALM: il settore più occidentale, Costa Camosciara (nel territorio di Opi) fu il primissimo nucleo della riserva e dello stesso Parco Nazionale d'Abruzzo la cui istituzione, lungamente e tenacemente voluta da E. Sipari e dai fondatori della Pro Montibus et Silvis, fu ratificata nel lontano 1923. Si tratta quindi di un'area dove è vietato accedere (a meno di ottenere un permesso speciale che l'ente parco accorda con grande parsimonia e -generalmente- per motivi di studio). NB: si potrebbe pensare che nel periodo invernale sussista una maggiore "tolleranza" da parte dei guardiaparco addetti alla sorveglianza (che compiono frequenti ronde con base al Rifugio di Forca Resuni), ma ciò non è vero - se non in minima parte: in realtà nelle zone sottoposte a vincolo di riserva integrale del PNALM i divieti sono assoluti e permanenti, quindi chi ci entra o passa senza previo permesso è virtualmente sempre in contravvenzione (punibile con ammenda e denucia penale).
Contrariamente ad alcune dorsali e cime dove la tutela della riserva integrale può apparire discutibile (specialmente in relazione ad attività alpinistiche ed escursionistiche limitate al periodo invernale, quando gran parte della fauna protetta abbandona i crinali e le quote più alte), è invece del tutto condivisibile la rigidità delle restrizioni nell'areale della Camosciara, la cui natura selvaggia di certo sarebbe intaccata, anzi pesantemente degradata, dall'eventuale libero passaggio delle comitive di camminatori. Presentare richiesta agli uffici del Parco che di tanto in tanto concedono a gruppi ristretti i permessi di salire su queste cime (partendo da uno dei due rifugi più prossimi e con accompagnamento del personale di sorveglianza).

Sella dei Tre Mortari

Sella dei Tre Mortari (c. 1970m)

Il settore tra Tre Mortari E (q. 1978), Anticima Ov. B.d.C. (q. 2038m) e Balzo della Chiesa (2073m), presenta passaggi alpinistici aggirabili tenendosi a des. (sud) nella mugheta che, presso il crinale, è fittissima e faticosa da superare

Il canale della Sella dei Tre Mortari

Anticima ovest del Balzo della Chiesa (2038m)


L'unico camoscio incontrato (è lo stesso esemplare delle foto più sopra). Tra la fine dell'800 e i primi decenni del '900 le cime della Camosciara (e i selvaggi valloni dei versanti nord) sono state -in virtù della loro difficile accessibilità-
uno degli ultimi baluardi entro i quali i camosci resistettero alla mattanza di una caccia indiscriminata, evitando così l'estinzione, anche grazie a temporanee istituzioni della riserva di caccia reale e poi alla costituzione del PNA (1923).


Cima del Balzo della Chiesa (2073m)


Un ultimo sforzo prima della cima del Mt. Capraro, mentre comincia a calare il buio


Forca Resuni e il Mt. Petroso (2249m) dalla Cima del Mt. Capraro (2100m)


Cielo stellato sul Monte Iamiccio (o Janniccio, 2074m). Al centro, sullo sfondo proprio dietro la Sella di Lago Vivo, il massiccio del Matese (Monte Miletto, 2050m)

Ritorno in notturna sulla traccia di sentiero (O5) Forca Resuni - Tre Confini (la neve è battuta dalle orme di un grosso lupo), e quindi per l'intera Valle di Canneto fino al santuario che raggiungo alle 22:15. - 13 ore, che giornatona!

FOTOGRAFIE E TESTI © FRANCESCO RAFFAELE
[Foto scattate con EOS 6D / Canon 24-105L is]


Settefrati, al ritorno

Altre Escursioni dalla Valle di Canneto e sul Balzo della Chiesa:

Madonna di Canneto - Monte Irto (1/9/2013)

Anello: Madonna di Canneto - Monte Irto -
Monte Bellaveduta - Rocca Altiera (3/4/2016)

Monte Capraro e Balzo della Chiesa, da Val di Rose
(19/2/2017)


BIBLIOGRAFIA GENERALE SUL PARCO NAZIONALE D'ABRUZZO LAZIO E MOLISE
compilata da Francesco Raffaele (vers. 1)


PARCO NAZIONALE D'ABRUZZO LAZIO E MOLISE - MONTI, NATURA, STORIA E CULTURA*
(* Non sono qui incluse né le opere storiche/odeporiche sull'Abruzzo, né le monografie sui singoli comuni dell'area del PNALM, alcune delle quali sono citate nelle note del testo)

E. Abbate, Guida dell'Abruzzo (1903) (Parte 1, passim; parte 2, It. IV p. 157 e seg.)
AAVV, Manuale del Parco Nazionale d'Abruzzo (2a ediz. 1925)
E. Sipari, Relazione del Presidente del Direttorio provvisorio dell'Ente Autonomo del Parco Nazionale d'Abruzzo alla Commissione... (1926)
L. Bertarelli, Italia Meridionale I. Abruzzo Molise e Puglia (Guida d'Italia, TCI, 1926, p. 346-361)
C. Landi Vittorj, Appennino Centrale (Guida dei Monti d'Italia, CAI-TCI, 1955, p. 351-447)
Abruzzi e Molise (Guida d'Italia, TCI, 1938, ristampa 1956, p. 273-286)
R. Colacicchi, Geologia della Marsica orientale, in: Geol. Rom. VI, 1967, p. 189-316
F. Tassi, Parco Nazionale d'Abruzzo, Importanza biogeografica e problemi di conservazione (in: Lavori della Soc. Ital. di Biogeografia, NS, vol. II, 1971, 615-696)
Parco Nazionale d'Abruzzo - Visto e raccontato da Attilio Boccazzi-Varotto. Ricerca fotografica di Giovanni Fontana. Prefazione di Franco Tassi (1978)
F. Tassi, Il Parco Nazionale d'Abruzzo (Giunti, 1984)
AAVV, Il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo nell’Antichità. (L'Orsa, 1988)
G. Grossi, Il Territorio del Parco nel quadro della Civiltà Safina (X - IV Secolo A.C), in: AAVV, Il Territorio del Parco..., 1988, p. 65-109
G. Grossi, Topografia antica del Territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo (III sec. a.C. - VI sec. d.C), in: AAVV, Il Territorio del Parco..., 1988, p. 111-135
C. e R. Landi Vittorj, G. Pietrollini, Appennino Centrale, I (Guida dei Monti d'Italia, CAI-TCI, riediz. 1989, p. 215-351)
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Abruzzo e Molise (Guida d'Italia, TCI, ediz. 2005, p. 282-289)
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S. Ardito, Appennino Bianco, vol. 2 (Iter, 2011, p. 72-109) [salite invernali, cispolate, fondo]
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C. Iurisci, Ghiaccio d'Appennino (Ed. Versante Sud, 2012, p. 378-431) [alpinismo invernale]
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A. Alesi, M. Calibani (eds.), Creste d'Appennino (SER, 2015, p. 117-147)
A. Carrara, M. Fratarcangeli, G. Mancori, F. Pratesi, Le Meraviglie del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise attraverso lo sguardo di G. Mancori (2016) [foto natural.]
B. Schirone, G. Piovesan, L. Di Cosmo et al., La componente forestale del Parco Nazionale d'Abruzzo (sd)
S. Ardito, Sentieri nel Parco Nazionale d'Abruzzo (Iter, 2018)
C. Iurisci, Passi di V° (Il Lupo, 2018)
"Natura Protetta" - Trimestrale d'Informazione del Parco (Ente Autonomo PNALM, Dirett. Editoriale G. Rossi) [16 numeri pubblicati dal 2008 al 2016 - LINK]
Numerosi Articoli in: "L'Appennino" (Periodico della Sezione di Roma del CAI), "Rivista Mensile" del CAI, e nei Bollettini delle sezioni CAI di Napoli etc.

TOPONOMASTICA - ALTO SANGRO E DINTORNI
E. Giammarco, Lessico dei termini geografici dialettali dell'Abruzzo e del Molise (1960)
E. Giammarco, TAM Toponomastica Abruzzese e Molisana (Vol. VI del DAM Dizionario Abruzzese e Molisano) (1990)
A. Sciarretta, Villetta Barrea - La Toponomastica (Documento pubblicato on-line, 2010)
L. Chiappinelli, Lessico Idronomastico dell'Abruzzo e del Molise (Quad. AION, NS, 7, 2002)
R. Tamburrini, Note sul dialetto di Settefrati / Vocabolario del dialetto di Settefrati (3a ediz., 2011)
D. Boccia, Lessico dei termini geografici del dialetto di Opi (AQ) (2016)
D. Boccia, La Toponomastica del Comune di Opi (AQ) (2016)

CARTOGRAFIA PNALM
G.A. Rizzi Zannoni (realizz.), G. Guerra (incis.), Atlante Geografico del Regno di Napoli [1808; in 31 fogli; scala 1:114.000 circa]
Tavolette IGM (anche vecchie levate, fine '800-inizi '900) scala 1:25000, 1:50000, 1:100000 (Link: Geoportale Nazionale per le 25, 100 e SAT )
Carte TCI (Guide rosse, anni '20-'50, scala 1:250000)
"Google Maps" e "Google Earth" per immagini satellitari e simulazioni di suolo e orografia
Carta Tecnica Regionale 1:5000 (a. 2001-2005) [LINK (1:5000 e anche IGM 1:25000 e altre carte): Geoportale Reg. Abruzzo]
C. Coronati, A. Osti Guerrazzi, Monti Marsicani, Mainarde, Valle del Giovenco e Monti della Meta. Carta 1:25000 (Ediz. Il Lupo, 2013) [Link x acquisto]
Parco d'Abruzzo. Carta Escursionistica di tutto il territorio del Parco 1:25.000 (Iter Edizioni, 2016) [Link per l'acquisto]

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DI CANNETO. IL TERRITORIO DELL'ALTO CORSO DEL FIUME MELFA
G.P.M. Castrucci, Descrizione del Ducato di Alvito (1633, IVa ediz. curata e aggiornata da S. D'Aloe, 1863)
F. Pistilli, Descrizione storico-filologica delle antiche città e castelli esistenti accosto i fiumi Liri e Fibreno... (1798)
D. Santoro, Pagine sparse di storia alvitana 2 vol. (1908, 1909) [include il MS di G. Prudentio, Descrizione di Alvito e il suo contado, 1574]
A. Lauri, Settefrati ed il Santuario di Canneto nella Leggenda e nella Storia (1910)
C. Marsella, Storia della Madonna di Canneto (1928) [on-line nel sito di www.settefrati.it]
E.M. Fusciardi, La dea Mefiti e il Santuario di Canneto (in: Marsella, Storia della Madonna di Canneto, 1928, p. 3-12)
A. Lauri [Articoli su Settefrati e Pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Canneto in: Latina Gens, VII, n.7, 1929, p. 322-333]
M. Jacobelli, La Madonna di Canneto nella Storia e nell'Arte (da Conferenza 1954)
D. Arcari, Storia di Picinisco (1959)
Lazio (Guida d'Italia, TCI, ediz. 2007, p. 615, 666-667)
D. Antonelli, Il Santuario di Canneto. Settefrati. Dalle origini all'attuale ristrutturazione generale (1969; 2a ediz. 2011)
F. Giannetti, Picinisco e il territorio della Valcomino dalla fine del 1500 all'inizio del 1900 (Ed. Idest, 2012)

LINKS
Foreste e Dintorni (E. Rovelli - www.mountainforest.org)
La Dea Mefite (articolo su www.sanniti.info)
Melfa Web Site (Internet Link)
Su Settefrati e Madonna di Canneto (Internet Link)
Escursione dalla Camosciara al Balzo della Chiesa (G. Albrizio, Link)
Storia della Grande Fauna Selvatica italiana (C. Guacci - http://www.storiadellafauna.it)
PNALM - Piano del Parco (Relazione, allegati e tavole: www.parcoabruzzo.it)
La Camosciara (Internet Link)
Terre Marsicane (Comuni e Storia: www.terremarsicane.it)


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